lunedì 21 novembre 2011


DE AEQUITATE

Alla Cicerone. Perché l’argomento è importante, basilare, fondativo della fiducia che vorremmo veicolare verso il governo dei Professori.

Perché di equità parlano in molti, ma pochi sanno veramente che cos’è e ancora di meno la praticano.

Cominciamo con il dire che l’equità è un concetto del tutto umano e anche abbastanza recente nella storia.

Nella natura non c’è equità. C’è solo la legge del più forte  e il più grosso mangia il più piccolo con sublime indifferenza, anzi esercitando un suo diritto alla sopravvivenza. Non c’è equità perché ci sono specie avvantaggiate, senza nemici naturali, alla cima della piramide, e altre svantaggiate, in preda agli umori di chi le tratta solo come riserva alimentare. C’è chi se ne sta in panciolle  a far niente tutto il giorno e chi deve correre come un forsennato per mangiare ciò che gli serve per non morire,  chi vive  a lungo e chi un solo giorno.  Domine Dio (per dire il creatore se mai c’è stato) aveva voglia, quel giorno, di bizzarrie.

Non c’è equità nemmeno nella  natura e nella distribuzione della vita sul pianeta. Climi ostili e climi paradisiaci. Habitat pacifici e habitat terrificanti per pericolo costante. Gelo e caldo insopportabili. E pochi luoghi dove probabilmente Dio ha giocato a mimare il paradiso (se c’è).

L’equità è un concetto e una proprietà specifica e esclusiva dell’umanità, un frutto della sua evoluzione civile.

Nella storia dell’uomo l’equità - intesa come distribuzione paritaria dei doveri e dei diritti - ha cominciato  a far capolino come richiesta corretta solo con la dichiarazione dei diritti dell’uomo (siamo nel diciottesimo secolo). L’umanità (anche nelle sue espressioni colte e più etiche per i tempi) ha ritenuto legittimi la schiavitù, le caste, gli iloti e i perieci (la Grecia di Pericle!), l’inferiorità delle donne (che non hanno l’anima per certe culture), il diritto di uccidere, la segregazione razziale e la supremazia della razza ariana. L’equità ha fatto capolino, ma non è mai realizzata a pieno. Anche con il Cristianesimo che ha legittimato divisione e criteri di classe (non Gesù, la storia postuma).

Non  parliamo poi del concetto di proprietà privata, che è diventato con il capitalismo un vero e proprio tabù intoccabile. Una cosa sacra da difendere al di sopra di tutto, un diritto inalienabile. Ma la proprietà privata è certamente un ostacolo all’equità. Non si parla qui del diritto primario ad avere lo spazio e i beni sostanziali e minimali all’esistenza, ma del diritto all’accumulo indiscriminato, senza limiti. Un diritto che non esiste, è di fatto un abuso, ma viene praticato costantemente e difeso.

Ora, in una comunità civile  e moderna,  equità significa ridistribuzione delle risorse e dei beni in modo che non esistano disparità macroscopiche. Chi ha tanto da non saperne cosa fare e chi non ha il necessario per vivere. Ciò che a suo tempo ha fatto gridare contro il latifondo inutilizzato e invocare la terra ai contadini. Eppure c’è stato chi ha difeso il diritto alla manomorta, come diritto supremo di proprietà.

L’ideale dell’equità tende a azzerare le differenze, ma ciò è utopico e impossibile, almeno in questa società, perché ucciderebbe l’intrapresa economica e porterebbe all’ignavia totale dello stomaco pieno. Ora l’equità si realizza, nella società moderna, attraverso la limitazione della proprietà parassitaria e il prelievo fiscale. Lo dice anche la dottrina della Chiesa; la proprietà ha un senso se ha uno scopo sociale.

E veniamo alla situazione di oggi, Italia, 2011, governo Monti. Sono necessari altri sacrifici, ulteriori prelievi in una situazione oggettiva di pressione fiscale al limite.  Questo per salvare la barca comune che rischia di affondare.

Buon governo significa soltanto chiedere di più a chi ha di più, meno a chi ha poco, nulla a chi non ha niente. Poche balle: solo questo criterio conduce a una manovra equa.

Facciamo l’esempio della tanto ventilata ipotesi dell’imposizione di una nuova ICI. Non guardiamo al passato, a com’era strutturata la vecchia imposta. Guardiamo alla sua strutturazione futura in termini di equità.

Ora il puro possesso della casa non significa ricchezza. I casi sono infiniti. C’è chi possiede la propria casa e l’ha ereditata e magari è disoccupato, c’è la vedova che ha solo la pensione di reversibilità e con questa campa e meno male che non deve pagare l’affitto, c’è la famigliola che a colpi di sacrifici e di un mutuo ha scelto che era folle pagare un affitto e non un rateo, ma vive contando i giorni del mese e contingentando le spese, c’è chi ha la pensione sociale e solo grazie alla proprietà della casa non deve vivere sotto i ponti.

Dalla parte opposta c’è chi ha una bella casa di proprietà e un reddito adeguato a mantenerla, c’è chi ha una prima e poi una seconda  e poi magari una terza casa, c’è chi ha un po’ di appartamenti di sua proprietà dati in affitto (e magari acquistati con proventi in nero – non è una rarità) e in fine chi ha un vero e proprio patrimonio immobiliare, talvolta inutilizzato.

Una ICI “equa” non può colpire indiscriminatamente con aliquote uniche tutti questi casi. Deve differenziarsi, deve stabilire esenzioni e riduzioni, deve basarsi su una vera e propria analisi della ricchezza e del reddito individuale. Così la vedovella non pagherà nulla, chi ha un buon reddito pagherà una certa somma, e i rentier immobiliari un’aliquota tanto più alta quanto più inutilizzata è la proprietà immobiliare. Un modo anche per incentivare l’immissione sul mercato della manomorta immobiliare, i tanti casi di appartamenti e case sfitte per puro egoismo sociale.

Mi si dirà che questa è una vera  e propria patrimoniale, quella che molti in Parlamento (indovinate chi... i nullatenenti!!! non  vogliono proprio in nome della sacralità della proprietà e di oscuri ragionamenti sull’effetto depressivo.   
Se è così, una bella patrimoniale ben venga, è l’unica strada equa.

In questo governo ci sono professoroni che ne sanno di economia e forse ragionando solo in termini macro non  si rendono conto degli effetti micro (dolorosi) di certi provvedimenti. Ma ci sono anche molti cattolici e persone che per anni hanno studiato il welfare e la sua corretta impostazione. Ora l’essere cattolici, sul piano dell’equità fa ben sperare, se di cattolici seri si tratta. Perché l’attenzione alla persona e ai suoi diritti dovrebbe essere per un credente un vero e proprio faro- guida.

Di nuovo buon lavoro, professor Monti.

Amoproust, 21 novembre 2011




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