SANTI
SUBITO.
Oggi una riflessione insolita,
laterale, non strettamente politica.
Riguarda la proclamazione agli
“altari” dei nuovi santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Amoproust è un non credente e gli
si potrebbe chiedere “che c’entri?”. Vero, ma un conto è la canonizzazione di
un’oscura missionaria comboniana (esemplifico), un conto è l’elevazione agli
onori dell’altare di due Pontefici contemporanei. Questa scelta della Chiesa è un fatto
pubblico e tanto clamoroso quanto i due papi in oggetto erano popolari e lo
sono ancora.
Si tratta di due grandi
personaggi storici. Il primo ha avviato il Concilio e, con esso, la prima seria
riforma della Chiesa dopo la controriforma e il concilio di Trento. Questo il
suo grande merito. Il secondo ha “internazionalizzato” la Chiesa, per il
semplice fatto di essere il primo Papa non italiano dopo secoli,
Ha lavorato
intensamente per la Pace e l’ecumenismo. Ha viaggiato per il mondo incessantemente.Dal punto di vista religioso e
dogmatico, contrariamente a Giovanni XXIII era un conservatore. Lo dice, p.e.,
l’avversione di papa Roncalli al fenomeno “Padre Pio” e, invece, la santificazione
di quest’ultimo da parte di papa Wojtyla. Segno questo, della possibilità, all’interno
della Chiesa di opinioni e modi di pensare diversi, se non antitetici.
Da un punto di vista laico, non
ha alcuna rilevanza il fatto della canonizzazione dei due Papi. Sono importanti
personaggi storici. Se sono stati uomini “giusti” lo dice la loro vita e il
loro esempio. Non c’è alcun bisogno di un sigillo ufficiale ai fini della santità
reale. Tanto meno c’è bisogno dei cosiddetti miracoli, che in gran parte sono (come
quelli di Lourdes) frutto di suggestioni e autoconvincimenti.
Amoproust pensava, ingenuamente,
che papa Francesco, certamente un uomo di Chiesa lanciato verso un’interpretazione
strettamente evangelica e riformatrice del ruolo del Papato e della missione
apostolica, si fermasse di fronte alla spettacolarizzazione della santità, com’è
effettivamente un rito di canonizzazione. Un grande fatto anche mediatico:
televisioni e stampa da tutto il mondo,
pellegrini a frotte a Roma, pubblicazioni, celebrazioni filateliche e numismatiche.
E, diciamolo, anche un enorme business per tutto ciò che si muove attorno alla
macchina della celebrazione. Diciamo “l’indotto” della santità. Questi sono
fatti concreti, tangibili, irrefutabili.
Perché l’innovatore Francesco non
si è fermato, non ha cercato di riformare anche questa celebrazione che è
indubbiamente trionfalismo e festa consumistica? Amoproust non ha una risposta
chiara, lo confessa. Un’opinione sì: la Chiesa, anche la Chiesa di papa
Francesco non può e non potrà mai trasformarsi veramente nel poverello d’Assisi.
La Chiesa ha bisogno di pubblicizzarsi, essere presente nel mondo, sui media,
sulla stampa, ovunque. Per poter dire la sua. Per poter diffondere il suo
messaggio. per "giocare" la carta del potere, anche politico. Per questo saliranno sull'altare Pio XII e Paolo VI, fors'anche il povero Papa Luciani. E dopo di loro Francesco. Mah!
E’ un bene o un male? Ricordo
solo il detto evangelico: se il
chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto. Cosa
significa evangelicamente morire, applicato alla Chiesa e alla sua parola?
Amoproust lascia la risposta alla meditazione dei lettori.
Amoproust, 27 aprile 2014