CA’ NISCIUNO È FESSO
Non c’è parte sociale o categoria
o partito che abbia mostrato contentezza per il progetto di legge di stabilità
partorito dal Governo. Pannicelli caldi.
Dopo lo strombazzamento per cui il governo doveva
assolutamente stare in carica e ottenere la fiducia perché incombeva quest’obbligo
importantissimo della legge di stabilità, ecco il topolino partorito dalla
montagna.
Bisogna dirlo chiaramente: le
larghe intese non possono generare altro. Le due parti contrapposte del sistema
politico non possono che annullarsi a vicenda (veti incrociati si chiamano) e
dar vita a iniziative pallide, prive di mordente, ben lontane dai bisogni reali
del paese.
Il problema è che per risolvere i
problemi servono risorse. Da anni le risorse in Italia vengono pescate nel
lavoro. Tassazione sul lavoro e sulle imprese produttive. Mai nella rendita
parassitaria e nel capitale. Mai.
Ora in questo bacino del lavoro e
delle imprese siamo arrivati al fondo del barile. Non c’è più niente da
raschiare. E contemporaneamente c’è un dieci per cento della popolazione che
gode di privilegi incredibili: i benestanti, i più ricchi non sono (in quanto
tali) toccati. Da qui la forbice progressiva tra un paese alla frutta, ridotto
alla povertà e un paese ricco, sempre più ricco, indenne.
Occorre rovesciare il discorso,
caro Letta. Ma nella compagnia cantante che ti accompagna non sarà mai
possibile ottenere alcunché. Non con Brunetta, Alfano, le passionarie più o meno pitonesse e i falsocattolici come
Lupi e Formigoni.
In Italia occorre - se si vuole far partire la
crescita e realizzare un po’ di equità - ridurre le imposte sul lavoro e andare
a pescare risorse nei patrimoni (perché
è tabù parlare di una patrimoniale? Anche se solo sui patrimoni alti?),
nelle successioni, nei capitali all’estero e nelle sacche di evasione fiscale.
Miliardi. E poi, nei Tg in TV ci sfiancano con conticini ossessivi sui due miliardi di
qua e due miliardi di là… bricioline assurde rispetto alla prateria sconfinata
dei giacimenti prosperi e privilegiati.
Prendiamo p.e. il discorso sulle
successioni. Perché un capitale che passa da un morto (che l‘ha realizzato) a un erede che
non ha fatto nulla, è un puro miracolato dalla fortuna, non deve essere
soggetto a una forma di tassazione? Perché tutto al privato e nulla al
pubblico? Fatte le debite eccezioni per i passaggi ereditari tra padre e figlio,
fatti salvi limiti di soglia, la tassa sulla successione è un onere giusto,
equo. Riconosce che la ricchezza ha una funzione sociale.
Insomma dobbiamo tornare al caro
vecchio concetto (laico ma anche cattolicissimo) che la ricchezza è buona se
serve a creare lavoro e dare prosperità alla collettività. La ricchezza
privatizzata, usata solo per accumulare o fare sfoggio o dare soddisfazioni
narcisistiche, non è equa, è un abuso.
Ditelo alla compagine berlusconiana
che sta al governo e impedisce una benché minima tassazione sulla casa di tipo
progressivo (alta sulle cose di lusso – bassa o nulla sulle case di modesta
condizione). Ma chi possiede otto ville e un patrimonio sterminato e per di più
è colpevole dichiarato e condannato di evasione fiscale, come fa a stare al governo
di questo paese? Con questi bisogni? È una contraddizione, un paradosso. E
finiamola con l’ipocrisia per cui ricchi signori si stracciano le vesti e
citano la povertà che ormai raggiunge il 30% della popolazione italiana. Sono
loro i colpevoli.
Insomma le larghe
intese tra fautori di giustizia sociale e difensori dell’uso spregiudicato
della proprietà privata non possono funzionare. Nemmeno con la benedizione di
papà Napolitano.
Amoproust 19 ottobre 2013