Il Senato da operetta
In prima lettura il Senato ha
votato la sua estinzione. E la sua trasformazione in un’assemblea di poco
conto, costituita da nominati estratti dalla platea dei consigli regionali e dei
sindaci (naturalmente solo delle grandi città!). Che c’entrano questi personaggi
con il Senato non so, non capisco. Tanto valeva abolirlo o trasformarlo in un’assemblea
di cittadini maggiorenni estratti a sorte. Un’idea fantasiosa, ma che almeno
avrebbe rivalutato la “sovranità che appartiene al popolo”. E, invece, di fatto,
è sempre più appannaggio dei politici e dei partiti.
Si è detto a lungo che le riforme
istituzionali dovevano essere fatte “insieme”, maggioranza e opposizione. Per
questo è nato il famigerato “patto del Nazareno”. In effetti è successo un pateracchio
incredibile: gran parte dell’opposizione fuori dall’aula, una quarantina di
dissidenti anche nelle due forze “contraenti” il patto. E questo dopo un
dibattito costellato di sceneggiate e insulti, con uno spettacolo assai poco
edificante offerto ai cittadini e alla
stampa internazionale. Se fossi Renzi, mi asterrei da eccessivi brindisi: è una
vittoria di Pirro.
E poi quegli scandalosi abbracci
tra la Boschi e Romani, i conciliaboli Lotti Verdini, insomma larghe intese
affettuose e incestuose. Se Renzi non dovrebbe esultare, ha ragione Berlusconi
a farlo: l’ex cavaliere è di nuovo in sella, raggiante come il sole, nonostante
le condanne e i processi pendenti, un passato da imprenditore del tutto oscuro
e un curriculum disastroso in quanto politico: un ventennio di leggi ad personam e di un niente di fatto per il paese. Ma la
Boschi, che si intitola la riforma, quando il cavaliere spazzò via la prima
Repubblica, ciucciava ancora il latte: non si può pretendere che abbia memoria
politica.
Firenze è tornata a essere la
capitale d’Italia: il cerchio magico di Matteo Renzi conta sulla fiorentinità
scanzonata e irriverente. Conta anche la spregiudicatezza che ha in Verdini il
suo caposaldo. Ma la gente e il PD si ricorda chi è Verdini? Non certo un
angioletto del Paradiso.
Matteo vuol governare l’Italia come ha governato
Firenze da sindaco: una giunta di fedelissimi obbedienti (il governo), un Consiglio
docile che approva tutto (la Camera), progetti di legge che partono solo e
soltanto dall’esecutivo, che non si permetta il Parlamento di porsi di mezzo. Spazzato
via il Senato, nessun ostacolo. Siamo di fatto nella repubblica “renziana”. Se
mettiamo nel conto che Renzi è arrivato a Palazzo Chigi solo per via diretta,
senza passaggio elettorale, che ha fatto un colpo di mano contro Letta (dopo primarie
un po’… allargate, a dire il vero, che lo hanno designato segretario del PD),
che ha avuto una legittimazione di massa alle europee… beh, tutto questo
assomiglia molto a una “presa di potere”.
Forse domani avremo un film “la presa di potere di Matteo primo”.
Questo è un progetto che parte da
lontano, per niente improvvisato e oggetto di una strategia precisa: rottamare
i “vecchi” del PD, assumere il potere nel Partito, flirtare con i poteri che
contano, compresa l’opposizione, puntare
a un progetto riformatore che appaia una diluzione di idee di sinistra
con idee liberali. Da una parte la scelta di campo dei socialisti europei, ma,
dall’altra, nell'area dell’economia e del lavoro, liberi tutti.
L’altra sera, a “In onda” sulla
7, Matteo Renzi ha detto che le cose si stanno facendo, ma che la stampa non ne
parla (la solita accusa). Per esempio i cantieri aperti nelle scuole per le
ristrutturazioni. Il giorno dopo, sui quotidiani, appare la notizia che in
molte province italiane, anche importanti, non ci sono fondi per far partire l’anno
scolastico (effetto “dell’abolizione” delle province e del marasma che ne è
conseguito. Molti ignorano che le province gestiscono molte scuole medie e superiori):
mancano banchi, personale, soldi per pagare le bollette. I bidelli volontari
imbiancano i muri. Gli studenti staranno al freddo perché non ci sono soldi per
pagare il gasolio. Insomma come stanno le cose? Sembra di essere in un film Luce
di propaganda fascista…
C’è poco da dire. O Renzi cambia
stile (difficile!) o, a poco a poco, i cittadini si renderanno conto del
colossale bluff. E per l’Italia saranno ancora occasioni perse.
Diciamola tutta: Renzi ha un potenziale
molto alto di dinamicità e voglia di fare. Ma ha molto da imparare sul piano
del metodo. Rispetto del dissenso interno e dialogo, ascolto delle proposte e
dialettica, coscienza che non si possiede la verità rivelata ma che l’errore
fatidico è dietro l’angolo, che l’eccessiva fretta è nemica del bene. Che la trasparenza
non è solo una parola. Che, infine, la presunzione è un brutto difetto: provoca
antipatie e non concilia il consenso.
Questa, infine, si chiama “democrazia”.
Amoproust, 9 agosto 2014