sabato 21 novembre 2015

Una lettera a Papa Francesco



Caro Papa Francesco,

ti dirò subito che non sono credente e quindi non sono in grado di ragionare al tuo livello di fede e convinzioni. Anche se conosco bene la dottrina cattolica e ho frequentato la chiesa per lunghi anni.   
Comunque sia, io conto poco, niente e tu moltissimo non solo presso i credenti ma anche presso di noi. Perché, oltre la simpatia personale che irradia dalla tua figura, tu stai interpretando e perseguendo un filone evangelico che realizza qualcosa che va oltre il dogmatismo proprio della Chiesa storica. Stai predicando la povertà, la vicinanza agli umili, la solidarietà tra gli uomini, il superamento  delle barriere religiose  e razziali. La tua ispirazione è il discorso delle beatitudini e la parabola del samaritano. Il mondo laico serio e pacifico non può non guardare  a tutto questo se non con favore e interesse.

Certo se leggo il Credo la mia sensibilità attuale urta contro il dogmatismo di affermazioni che leggo come incredibili e antistoriche. Se osservo il comportamento di certi cattolici mi domando se hanno capito che non si possono servire due padroni, dio e mammona. E non riesco a comprendere come si possano mantenere in piedi illusioni e inganni come quelli legati alle cosiddette apparizioni, Lourdes, Fatima, Medjugorie e via dicendo. 

Vorrei che tu, perseguendo la strada retta del Vangelo, mettessi in dubbio tutto ciò che non sa di Fede o di religione ma di superstizione. Ma forse chiedo qualcosa che non è possibile, forse per le masse di credenti certe credenze servono, sono vitali, sono indispensabili.

Ma una cosa importante mi piace chiederti. Non mi puoi dire di no. Tu hai indetto un Giubileo straordinario della misericordia che attirerà  a Roma migliaia di pellegrini. Una volta i pellegrini, penitenti, arrivavano per la via Romea o la via Francigena a piedi nudi, con un vestito di sacco e la borsa delle elemosine. Ora i fedeli arriveranno in aereo, in pullman granturismo, affolleranno gli alberghi, non faranno certo vita penitente. Qualcuno forse sì, ma pochi. I più si accontenteranno di visitare i luoghi sacri, le basiliche, la scala santa e di assicurarsi le indulgenze di prammatica. E verranno  a vederti, ad applaudirti, com’ è giusto. 

Tu hai chiesto di non avere particolari misure di sicurezza, vuoi il contatto con i fedeli, con la gente. Ora viviamo in tempi di spietato terrorismo e tu sei un bersaglio importante per quei pazzi. Ora, lo sappiamo, i cristiani veri hanno sempre cercato il martirio. Tu sei coerente. Ma ti sei chiesto cosa sarebbe della nostra società e della nostra civiltà se un terrorista riuscisse  a raggiungerti e a fare di te una vittima? Quale sconcerto drammatico, quali conseguenze sulle nostre democrazie già fragili,  quale sconquasso nel mondo intero?

No, papa Bergoglio, ti prego, la tua sicurezza è un obiettivo primario. Già l’iniziativa del Giubileo, in tempi come questi  e in una città disorganizzata come Roma, disastrata nei servizi, è stata un azzardo. Tu l’hai voluto perché credi negli uomini e vuoi la misericordia.

Ma esistono uomini dal cuore duro come i Farisei contro i quali Gesù si è scagliato, esistono uomini lupi che nessun San Francesco è in grado di ammansire.

Quindi, ti prego, per la tua gente, per il tuo popolo e per lo stesso concetto di civiltà, permetti che la sicurezza si interessi a te e alla tua persona. Lo devi ai popoli interi che guardano a te con speranza.

Amoproust, 21 novembre 2015


giovedì 19 novembre 2015

Guerra e terrorismo



Guerra e terrorismo

Siamo in guerra? Questa domanda, dopo gli attentati e i massacri di Parigi, circola nei media e tra la gente. La risposta giusta è “no”. 
Perché la guerra presuppone una dichiarazione di ostilità di uno Stato verso un altro e quindi l’intervento armato. Anzi noi siamo abituati al concetto della guerra sette-ottocentesca, delle guerre napoleoniche in cui due eserciti armati si scontravano, si massacravano per bene su un “campo di battaglia” e uno ne usciva vincitore, l’altro sconfitto. La guerra era una successione di battaglie, di occupazioni, di scontri armati, in cui la popolazione civile era coinvolta solo in quanto spettatrice o fornitrice più meno volontaria di supporto (alimenti, alloggi, copertura). Non sempre la guerra ha avuto questo aspetto (possiamo dire) garantista. Sono esistite guerre selvagge, di conquista territoriale, senza alcuna dichiarazione formale. 
Ma per noi la guerra è uno stato che si dichiara. Nel 1915 l’Italia è entrata in guerra, nel 1940 Mussolini ha dichiarato guerra. Lo stato di pace o di neutralità e lo stato di guerra come situazione contrapposta.


Il terrorismo è una cosa diversa. Colpisce obiettivi inermi. Non dichiara la sua esistenza. Tutt’al più emette proclami generici, vaghi di ostilità. “Colpiremo Roma”… Di certo non con un bombardamento o un missile, ma in un luogo affollato (l’abbiamo capito!) per fare strage di gente inerme, incolpevole o colpevole solo di vivere. Un terrorismo molto diverso, quello del Daesh, anche dal terrorismo nostrano degli anni di piombo in cui gli obiettivi erano gli uomini di potere, le stanze del potere o di chi era colluso con il potere. Il terrorismo dell’Is è “puro” terrorismo, nel senso che realizza la parola nel suo etimo “terrore”: tende a insinuare il terrore, la paura, lo sgomento per cui la gente comune ha paura ad uscir di casa, evita gli affollamenti, non va più allo stadio, al cinema, a teatro. Se si ottengono questi obiettivi, che sconvolgono la vita civile, il terrorismo ha già vinto la sua guerra non dichiarata, ha inoculato il virus della paura.


Reagire al terrorismo quindi esige da parte della popolazione tutta una specie di eroismo. Cioè: io so che se vado lì. In quel teatro, in quel raduno politico o religioso,  mi può capitare di essere vittima di un’azione terroristica come non mi può capitare. Non c’è più un luogo sicuro e uno insicuro, una piazza sicura per definizione e una insicura. E quindi rischio. La probabilità mi dice che è un rischio aleatorio, improbabile ma è la stessa situazione della lotteria: c’è sempre qualcuno che vince, anche se il rischio di vincere è molto basso. Se invece ho paura  e non rischio, mi rinchiudo nella fortezza, la do vinta ai terroristi.


Certo: il cittadino ha il diritto di chiedere allo stato il massimo di intelligence, di non sottovalutare nessun segnale, nessun indizio seppur minimo. Ha il diritto chi chiedere tutela del territorio e  dei luoghi sensibili, ma ha il dovere di collaborare e di assumersi il rischio di continuare la sua vita normale come se il terrorismo non ci fosse. Il dovere anche di segnalare tutto ciò che può essere sospetto senza isterismi, ma con attenzione. 
E con la consapevolezza che il daesh non è un nemico lontano, laggiù nel deserto tra Siria e Iraq, ma che il nemico si nasconde tra noi, è figlio del fanatismo religioso e della rabbia irrazionale che può allignare laddove regna la frustrazione e l’emarginazione.


Non siamo in guerra ma siamo in una situazione di rischio indeterminato come può essere per una zona ad alto rischio sismico: può avvenire la grande scossa come non può avvenire. Il paragone non regge molto, ma abbiamo a che fare comunque con la paura. Che è cattiva consigliera di vita.


Amoproust, 19 novembre 2015

domenica 15 novembre 2015

Giubileo?



Giubileo sotto la minaccia del terrore?


Dopo ciò che è successo a Parigi e la certezza che l’Isis intende portare la sua guerra nel cuore dell’Europa e della Cristianità, è lecito chiedersi cosa fare  e come reagire. Parlo come cittadini. Lasciamo il compito strategico della guerra nelle zone calde di Siria, Iraq, Turchia e Libia ai competenti, alla Nato, alle forze militari. Che, nonostante noi odiamo la guerra, dovranno agire, intervenire. È in gioco la pace universale, è il diritto dei popoli alla difesa. E, sul piano strategico la prima reazione deve essere del mondo musulmano stesso, se vuol salvare la sua civiltà, la sua sopravvivenza nel mondo.


Detto questo cosa fare in Europa? Un grande lavoro di intelligence per scoprire e annientare le cellule del terrore, le centrali dell’eversione e di tutti coloro che le fiancheggiamo. Senza confondere i giusti diritti dei profughi e dei poveracci che fuggono dalle zone di guerra e chiedono asilo. Purtroppo sappiamo che i simpatizzanti e gli esaltati sono spesso nelle file degli integrati, di coloro che hanno cittadinanze europee. Ma l’intelligence che non ha intelligenza e capacità di discriminazione che intelligence è?


E i cittadini? I cittadini devono poter continuare la loro vita di lavoro e di impegno culturale come prima, senza alcuna limitazione. Devono poter andare  a teatro, al cinema, al ristorante, nelle università, nelle scuole, negli stadi, nei centri di divertimento. In sicurezza. Una situazione di terrore porterebbe a una specie di coprifuoco, di allarme continuo, il che non deve avvenire né a Parigi né a Londra né a Roma né a Milano.


Diverso mi sembra il discorso del Giubileo. È un evento destinato ad attrarre centinaia di pellegrini, a creare affollamenti, concentrazioni, moltiplicando il lavoro di security e di allerta. È il caso di portare avanti questo progetto? Io, e con me illustri uomini di Chiesa, dico di no. Vuol dire creare l’occasione, offrire un bersaglio, lanciare una sfida. Tanto più che la misericordia e il perdono il Papa li può dare e gestire in tutte le chiese del mondo, non solo a Roma. Anzi sarebbe l‘occasione per affermare l’universalità della Chiesa e non solo la centralità di Roma. Anche perché, in questo momento, la città è in crisi, non è preparata, non ha un governo, ha servizi precari, uomini inaffidabili al comando.


Quindi il Papa e le autorità in Roma ci pensino. Non  vorremmo piangere, in quest’anno della misericordia vittime innocenti e morti anziché rinati nella grazia di Dio. Può succedere, è probabile che succeda. Evitiamolo.


Amoproust, 15 novembre 2015


venerdì 13 novembre 2015

Che dire?



Quando non si sa che dire

Ci sono momenti nella vita politica della città e della nazione in cui non si sa che dire, è meglio tacere. Brutta cosa il tacere di fronte agli scandali, alle defezioni, ai trasformismi. 
Ma di fatto il cosiddetto popolo sovrano, il corpo dei cittadini che, come dice giustamente Maggiani, compongono la nazione, è espropriato del suo potere, non può nulla. Non solo ma l’unico strumento che possiede, il voto, gli viene sottratto per lungo periodo o, in modo truffaldino, con leggi elettorali che prevedono solo o quasi solo nominati, cioè candidati indicati dai poteri dei partiti, delle varie consorterie, che poi di fatto sono clientele  e mafie. 
Non spaventi questa parola. Mafia non è solo coppola  e lupara ma è tutto ciò che si sostituisce alla natura dello stato, lo occupa e lo violenta.

Non si sa cosa dire anche perché le cose da citare sono tante e scandalose: un premier legittimo per modo di dire (non mi si dica che il modo con cui Renzi ha conquistato palazzo Chigi sia dei più limpidi) che si occupa di riforme come avrebbe fatto il suo antagonista Berlusconi, bistratta i sindacati (fatto di per sé eversivo per un governo di sinistra), annuncia ogni giorno una nuova impresa fino a ripescare il progetto (ormai marcio e decotto) del ponte di Messina.

Intanto intorno a lui il partito si sta disfacendo, in parte perché in mano a potentati locali che non intendono cedere il potere, in parte perché composto da puri yes men traslocati in direzione o perché in parte dissidente. C’è chi ha deciso di andarsene per fondare l’ennesima formazione di sinistra (quale programma possa venir fuori da questa ammucchiata di ex Sel e ex dem non si sa) – formazione che si presenta fin dall’inizio potenzialmente litigiosa. 
C’è invece chi (Bersani in testa) afferma che il dissenso deve essere interno  e giocato nel futuro congresso del partito (in quale data e ci sarà?) Sta di fatto che in periferia succede di tutto. A Roma Barca giudica il partito nei suoi circoli una sentina di nefandezze (ma chi gli dà retta?), a Napoli  la vicenda De Luca illumina sinistramente solo manovre di potere e di poltrone. 
Cosa succeda altrove non si sa, ma se mi fermo alla mia esperienza locale vedo solo vecchi militanti smarriti e disorientati (e nostalgie del vecchio PCI) e una totale assenza di giovani che pensano a tutto tranne che ad associarsi al PD. Grillo (non lui ma il suo movimento) attrae molto di più perché propone piazza pulita, via tutto il vecchio e il marcio e si comincia daccapo. Come si faccia a farlo non si sa.

Sta di fatto che a Napoli, Roma e altrove il PD si giocherà regione Campania e sindaci come si è giocato stupidamente Venezia e la Liguria. A Milano corre rischi e a livello nazionale i sondaggi lo dicono seriamente minacciato dal M5stelle.

Se nelle amministrative di primavera Renzi risulterà perdente, dovrà dimettersi e si andrà al voto nazionale.  Ne vedremo delle belle.

Tocca al demiurgo nazionale, all’annunciatore di mille riforme e cambiamenti, cambiare veramente verso. Ascoltare i cittadini, gli insegnanti esclusi, i pensionati trombati mille volte, gli esodati, le vittime del lavoro precario che c’è ancora. Ascoltare e fare non i ponti di Messina o le faraoniche olimpiadi di Roma (ma siamo matti dopo il Giubileo?). dire finalmente “qualcosa di sinistra”. Finora sentiamo solo copie degli annunci berlusconiani.

Non si sembra il massimo per un governo che si proclama di centro sinistra.

Amoproust, 13 novembre 2015.