Referendum istituzionale
E’ il dibattito del giorno. Renzi
annuncia (e minaccia) che, se dovesse vincere il no, lui lascerà la politica.
Fatto che non mi impressiona né mi
amareggia più di tanto.
E credo con me tanti democratici veri, per niente
convinti dagli annunci e dai (mis)fatti del fiorentino. Mi verrebbe da dire: un
pallone gonfiato in meno, siamo buoni, un cattivo politico in meno.
A me
dispiace quando se ne va un buon politico. Ho pianto quando è caduto il governo
Prodi per mano maramalda, mi dispiace che non si riproponga Pisapia alla guida
di Milano. Ma non riesco a dispiacermi se
se ne va Renzi. La congiuntura nazionale
e internazionale forse potrebbe averne un contraccolpo negativo.
Potrebbe non essere il momento giusto. Ma il fatto di trasformare un referendum
sul Senato della repubblica e la sua riforma in un plebiscito a favore o no di se stesso, è un atto di
estrema debolezza. Il vero politico dice: “Ho fatto una proposta, il Parlamento
l’ha accettata, vediamo cosa dicono i cittadini”. E si rimette alla volontà del
popolo. Non lo ricatta, non gli pone condizioni. Può dire: “sono stato
sconfitto, mi ritiro” ma non con quell’aria da apocalisse. Perché senza Renzi
possiamo vivere benissimo, magari meglio, con una politica più trasparente e
riforme vere.
Il vero tema del referendum di
ottobre (a proposito mai campagna elettorale per un referendum è iniziata a
tale distanza temporale) è la Riforma del Senato. Che, diciamocelo, piace a ben
pochi. Gli addetti ai lavori, costituzionalisti, studiosi di diritto,
giornalisti democratici in coro si sono pronunciati contro. Finora non mi è
capitato di leggere serie argomentazioni a favore. Perché è una riforma
indifendibile, un pateracchio indigeribile.
Ma la conosciamo bene? Vediamo di
ripercorrere le sue linee guida generali. Che in definitiva, in sintesi sono
molto poche.
· Il numero dei senatori si riduce drasticamente:
da 315 a 100. Di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 nominati da
Presidente della Repubblica.
· Il Senato
non esaminerà più le leggi che saranno discusse e approvate solo dalla Camera.
E’ la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto.
· Il Senato
parteciperà all’elezione del Presidente della Repubblica (che avrà nuove
regole)
· Compiti del
nuovo Senato (ancora da definire): politiche comunitarie, enti locali,
genericamente Europa. Elezione dei giudici costituzionali.
· I Senatori
saranno eletti non dai cittadini ma dai Consigli regionali. In che modo ancora
non si sa.
La fine del bicameralismo è il vero
piatto forte della riforma. Ma questo si poteva realizzare senza dar vita a un
Senato burletta che non è eletto dai cittadini, ha compiti del tutto secondari
e puramente di controllo ed è formato da personaggi di secondo/terzo piano. E
il bicameralismo è un male così perfido? No se è bilanciato da compiti diversi
delle due camere. Invece con la riforma abbiamo una sola Camera eletta dai
cittadini (si fa per dire perché la maggioranza saranno nominati). Potevamo
prendere esempio da altri stati europei di lunga democrazia. Ma no, noi mai! Riforme
in salsa italica.
Il tutto viene giustificato con
risparmio di risorse pubbliche, perché i senatori non verranno retribuiti. Il
che significa solo che faranno il loro lavoro con malavoglia e come “secondo
lavoro”. Una forte perdita di credibilità.
Il fatto più grave è tuttavia un
altro: il rafforzamento del potere esecutivo. Infatti con una Camera di quasi
tutti nominati e un Senato non eletto direttamente dai cittadini, il Parlamento
si sgonfia (il potere legislativo) e l’esecutivo si rafforza. Renzi evidentemente
ha pensato solo a se stesso, forse si crede immortale. Se avesse pensato al Paese
avrebbe giustamente riflettuto che al potere domani ci potrebbe essere la
destra o i 5 stelle. E allora cucù, il pateracchio è compiuto.
La riforma vera del Senato avrebbe
dovuto prevedere l’elezione diretta da parte dei cittadini magari su una lista di maiores, di
seniores, di illustri cittadini, liberi da macchie etiche e illustri per opere
politiche, scientifiche, agire sociale. Renzi e i suoi consiglieri hanno preferito
i consiglieri regionali e i sindaci
(quali, poi?): categoria (mi perdoni chi non c’entra) la più squalificata politicamente,
quella che ha originato più scandali e altri peccatucci. Perché questa scelta?
Mistero.
Il Senato, dai tempi di Roma, le camere alte nei tempi moderni hanno sempre rappresentato
la saggezza, l’anzianità di ruolo, l’integrità. Noi no: rappresentiamo con questo
senato la cortigianeria. Il risparmio è un alibi perché anche i consiglieri
regionali senatori avranno bisogno di una sede, di segreterie, di rimborsi
spese. Quale risparmio? Spiccioli,
bricioline di fronte all’ingente spesa dello Stato per il mantenimento delle
Istituzioni.
E infine la funzione. E’
paradossale che si riformi la Camera alta senza ben sapere che funzioni avrà se
non per cenni, per titoli. Il Senato dovrebbe avere compiti alti, di controllo
e di verifica, di proposizione di progetti democratici. Ma ridotto a una miniassemblea di consiglieri regionali,
demotivati e privi di potere, sarà una barzelletta. Ha detto qualcuno
(Scalfari) che era meglio farne a meno.
D’accordo.
E’ chiaro, che, stando così le cose
voterò “no” al referendum di ottobre. E sarò in ottima compagnia: mi bastano i
nomi di Rodotà, Zagrebelsky, Scalfari, Mauro.
Non temo le conseguenze se dovesse vincere il “no”. Temo invece il
successo di una riforma disastrosa per le Istituzioni repubblicane, eletta
magari da un paese assenteista e con un sì rappresentativo del 30% dei
cittadini.
Amoproust, 20 gennaio 2016