giovedì 9 gennaio 2014



Non abbiamo alternative

Da molte parti sento parole di scontento e di delusione, di scoraggiamento e voglia di andarsene da questo partito (il PD) e da questo paese (l’Italia). Il che equivale a una sconfitta, a una resa. Intendiamoci sono il primo a non essere contento (e di che?). Se avessi trenta/quarant’anni progetterei di andarmene… ma dove? In Australia, negli Sati Uniti, in Olanda, in Costarica? Ovunque ci sono problemi, non gravi come i nostri, ma ci sono e potrebbero essercene di più. Non esiste l’Eden. Soprattutto non esiste una democrazia compiutamente compiuta.

Ma veniamo alle tribolazioni del nostro Partito, il PD. Il suo collasso significherebbe il collasso della democrazia tout court in Italia. Non c’è alternativa valida - dalla nostra parte, dalla parte dei progressisti s’intende -  in termini di possibilità di governo. Fare opposizione è facile e talvolta demagogico come dimostrano in questi tempi sia Grillo che Brunetta e compagnia. Basta dire che tutto è uno schifo e un magnamagna e si fa opposizione.

Ora il PD ha fatto enormi errori. Li conosciamo tutti. Ma ammazzare il cavallo zoppo oggi, qui e ora, sarebbe un gravissimo errore.

Il PD (lasciamo perdere la triste vicenda dei traditori nell’elezione del Presidente, fatto che se non ci sarebbe stato, avrebbe cambiato il corso della politica) ha lasciato crescere il fenomeno Renzi, lo ha prima tollerato, poi favorito (la partecipazione alle primarie dell’anno scorso con regole cambiate), poi acclamato con la vittoria alle primarie 2013 e un consenso che ha sfiorato il 70%. Per fare il segretario del partito, quando è già sindaco di Firenze, un accumulo di cariche che “non fa bella figura”. Lasciamo stare quali siano i progetti di Renzi, sta di fatto che la sua elezione a segretario lo ha legittimato dentro e fuori il partito. Nessuno potrà mai dire: non sapevo chi fosse Renzi, ma cosa è successo, ma che tristezza…!!!  Tutti lo conoscevamo, la gran parte di noi, elettori e iscritti, lo ha eletto. Punto (come dice lui).

Renzi ha segnato una strada precisa. Sto a quello che dice, non ai tristi retropensieri di politicanti e giornalisti. Renzi è sempre stato trasparente, di questo bisogna dargli atto. La sua strada è questa: ci sono alcune cose da fare subito, legge elettorale, abolizione province e senato, legge sul lavoro. Altre da fare: abolizione Bossi-Fini, intervento deciso in Europa sulla legge di stabilità. Ecc. ecc. Se il governicchio Letta vuole queste cose con forza e determinazione, allora bene. Se no, si faccia da parte. Renzi si muove come un Caterpillar, sembra volutamente ignorare l’attuale coalizione di governo, ha detto più volte “chi ci sta ci sta”. Se è per la legge elettorale ok, possiamo essere d’accordo. Ma la politica vuole, esige trattative, compromessi, mediazioni. Le ignoriamo del tutto? E se la politica ci sconfigge che facciamo, torniamo a casa?

Allora un certo decisionismo ci vuole per smuovere quel pantano immondo che è sempre stata la vecchia politica. Ma ci vuole anche strategia, tattica e diplomazia. Allora a questo deve servire un partito in questo momento: a stimolare, a consigliare, a mediare, a suggerire soluzioni, a temperare l’intemperanza, a evitare errori catastrofici, come quelli di prendersi reciprocamente in giro.  Ciò che è successo con Fassina è da una parte indice di due caratteri rocciosi e inconciliabili, dall’altro di scarsa coesione interna e dialogo. Renzi ha fatto una stronzata; che glielo si dica in faccia. Ma Fassina si è mostrato rigidissimo. Cosa non bella. Mangiare merda quotidianamente appartiene al fare politica. Chi vuol solo trionfi, sbaglia.

La strada voluta da Renzi, dopo i segnali di impotenza dati dal partito e dopo la sua vittoriosa corsa alle primarie, è senza ritorno. Che questo sia chiaro a tutti. Il suo fallimento sarebbe il fallimento del partito e dei progressisti. Dobbiamo assolutamente evitarlo, soprattutto con il tardo tentativo di segargli le gambe dall’interno (stile vecchia politica). Il che vuol dire non assenza di dibattito e gestione dittatoriale del partito, ma proprio il contrario. Che Renzi sia costretto dalla direzione e dalla segreteria al confronto, a decisioni condivise, a un dibattito costante, anche se serrato e non solo orientato ai rinvii.

Non sono d’accordo con chi pensa che Renzi sia solo un piccolo Berlusconi, un Berluschino. Prima di tutto perché è un leader eletto, non autoproclamato, anche se ha fatto di tutto per farsi eleggere. Ma questo è legittimo nella competizione politica. E poi Renzi si fonda non su un’azienda da difendere, ma su un’esperienza politica seria e provata.

Non sono nemmeno d’accordo su chi dice che Renzi sia un democristiano. Lo è stato, ma chi difende i diritti civili, vuole i servizi sociali al primo posto dell’azione politica, vuol abolire la Bossi Fini, sta nel parlamento europeo dove stanno tutti i progressisti, non può essere un democristiano. Non sarà un comunista, questo è vero, ma il superamento delle ideologie  non è alle nostre spalle? Ma se finora il PD non è riuscito nemmeno a decidere dove stare in Europa?

Tutto ciò non significa appoggiare incondizionatamente Renzi e la sua strada. Significa stare nel partito accettando il risultato di uno strumento che noi ci siamo dati (le primarie) e confrontarsi costantemente.

C’è una sola regola (non scritta)  che autorizza il dissenso totale: il tradimento dei nostri valori di fondo, la solidarietà sociale, la giustizia distributiva, l’equità, il rispetto dei diritti, la scelta della pace, il rispetto delle regole di convivenza.

Ma non mi sembra che Renzi vada in questa direzione. Per ora almeno.

Amoproust, 10 gennaio 2014.