martedì 28 febbraio 2012


La confusione sotto il cielo

Assistiamo sgomenti a ciò che sta avvenendo in Val Susa con i No TAV. Lo sgomento è dovuto al fatto che questa situazione di disagio e di aperta ribellione dura ormai da anni e non se ne vede la soluzione, la fine.
Amoproust si è già dichiarato in merito al problema di fondo. Il progetto di alta velocità così come è stato impostato, è un’emerita idiozia, un fatto di megalomania costruttiva. Fatta salva l’esigenza di una linea ben attrezzata (soprattutto per le merci) sulla direttiva ovest-est europea, si poteva benissimo, in prossimità delle Alpi, formulare un adeguamento dell’esistente, senza impegnare risorse e anni di lavoro per fare un tunnel di 50 km. e ingombrare la valle di un  altro tracciato (oltre alla linea ferroviaria ci sono le strade locali, l’ autostrada e la statale). Ma questa è ormai saggezza di poi. I parlamenti italiano e francese hanno approvato l’idiozia (magari senza tanto ragionarci sopra – da lontano), l’Europa sponsorizza il progetto e ha dato il via ai lavori. Siamo in una democrazia rappresentativa, la gente ha perso una battaglia. E’ giusto continuare a denunciare l’insipienza, lo spreco di risorse e la cretinaggine del progetto, ma non è lecito – secondo me – continuare ad opporvisi fisicamente, bloccare le arterie stradali, ingaggiare una lotta senza quartiere contro la polizia, intestardirsi a boicottare i lavori. Qui si va oltre il dissenso e l’espressione dell’opposizione, si travalica nel ribellismo inerme, si attuano gesti “antistato”. Cosa succederebbe se, in uno Stato democratico, ad ogni progetto che scontenta una parte, buono o sbagliato che sia, si determinasse un’opposizione “armata” (nel senso di attrezzata e dotata di risorse) come quella della val di Susa? Sarebbe la paralisi, la fine della democrazia.
Ora con tutto il rispetto e la comprensione  per i Valsusini è ora di smetterla (o si va cercando il morto da celebrare come un eroe?) Pare anche chiaro che qui la questione di merito (la linea di Alta velocità) sia ampiamente superata e che la ribellione sia diventata ormai espressione dei un disagio generale  e lotta antisistema.
Cosa dire poi dell’atteggiamento dello Stato e del Governo? Le autorità non si possono limitare  a mandare polizia da una parte e messaggi di comprensione generica dall’altro. Due sono le cose possibili:
  • Si ritiene possibile rivedere il progetto e passare a più miti consigli, venendo incontro alla richiesta della gente della val di Susa. Si apre un enorme contenzioso con l’Europa e si crea un pericoloso precedente. Basta fare un gran casino e sfiorare la guerriglia per far piegare la testa allo Stato
  • Si ritiene definitivo il progetto (anche se idiota): lo si dice chiaramente per bocca del primo ministro e si invita  a cedere le armi. Dopo di ché si prendono le misure di ordine pubblico necessarie a  calmare gli animi, dialogando finché è possibile. E si attuano tutte le misure ingegneristiche possibili per ridurre al minimo il disagio e i rischi per la popolazione.
Tutta questa storia serva di lezione: non si lasciano incancrenire situazioni e focolai di ribellismo. E, d’altra parte - prima di partire con progetti megalomanici che toccano da vicino la vita della gente - ci si pensi bene. Non si può stravolgere una valle e una comunità pacifica per permettere alla merci di viaggiare tra Lisbona e Kiev a 250 km orari (ma è possibile?) con un guadagno di tempo irrisorio (si parla da 10 minuti  a un’ora di tempo risparmiato). Ci si pensi ben prima di progettare trafori e buchi vari, centrali  a carbone e degassificatori e via dicendo. Tanto più che la distruzione del nostro territorio ha raggiunto limiti paurosi. Basta.

Amoproust – 29 febbraio 2012

mercoledì 22 febbraio 2012

Marcegaglia, Monti e riforme


Ma perché si ritorna alla rissa?

Dice un adagio che si trova spesso su quei quadretti di ceramica appesi al muro delle osterie e dei bar di periferia “ricordati di collegare il cervello alla bocca prima di parlare”. Una baggianata che però si applica bene a ciò che sta succedendo nel Paese e soprattutto ai piani alti.
La Mercegaglia se ne esce dicendo che l’art. 18 (e con esso i sindacati) difende i fannulloni e i ladri. Poi se ne pente e dice “ho sbagliato”. Ok. Ma i lapsus, cara Emma, sono significativi di uno stato d’animo profondo, perché pescano nel nostro inconscio, spesso dicono ciò che veramente pensiamo. La stessa cosa è capitata all’onorevole sottosegretario Martone quando ha detto che i giovani di 28 anni fuori corso sono degli “sfigati”, e anche a tanti altri, Fornero, Monti (il posto fisso non è "bello") e via dicendo. Si lasciano scappare delle frasi indicative e scoppiano le polemiche.
La Emma sa benissimo che l’art.18 si riferisce ai licenziamenti senza giusta causa (ma quante volte occorre dirlo!?) e che il “padrone”, per parlare come Diliberto, ha mano libera se becca uno a rubare o a dormire sul posto di lavoro per licenziarlo senza che nessuno dica beh! Certo può essere una facile scusa che maschera un licenziamento per ben altre cause e allora i sindacati intervengono, ma fanno il loro mestiere che è quello di difendere i lavoratori da ingiuste aggressioni. Ma questo non significa che i sindacati difendono ladri, fannulloni e finti malati.
Lo sappiamo bene che in certe zone del paese si cazzeggia un po’ e si sta  a casa spesso e volentieri per un nonnulla, non a caso l’assenteismo è una piaga da sconfiggere (ed è quasi sconfitto).
Una riforma del mercato del lavoro è necessaria all’Italia per liberare i giovani dal precariato, assicurare una mobilità/flessibilità senza penalizzare i lavoratori, coprire i periodi di disoccupazione forzata, portare il paese fuori dalla irragionevolezza di settori ultragarantiti e settori senza garanzia alcuna. Solo sei mesi fa sarebbe sembrato impensabile un cammino come quello intrapreso con la Fornero. E’ coraggioso e i sindacati invece di correre dietro a tutte ombre e i sospetti di manovre antioperaie, dovrebbero vederlo nel suo complesso e tenere dritta la barra sul futuro. 

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Infuria un altro inutile e curioso dibattito: Monti è di destra  e di sinistra? A parte la stupidità e il tenore decisamente novecentesco della domanda, cioè vecchie categorie logore e consunte, cosa vorrebbe dire? Monti sta “risanando” quindi è un riformista. Non certo un socialista ma nemmeno un interprete del liberismo più sfrenato. Alcune cose che sta facendo sono state invocate per anni dalla sinistra: una seria lotta all’evasione fiscale, certe liberalizzazioni, la riduzione degli sprechi con tagli non lineari, ma chirurgici. La sinistra vorrebbe una più decisa patrimoniale e forse Monti ha qualche dubbio a infierire, difficile dire chi abbia ragione sul piano strategico. Ma, tutto calcolato, mi pare che la “politica” di Monti scontenti più a destra che a sinistra. E se poi si realizzerà la riforma fiscale con seri sgravi sulle prime aliquote, mi pare che non si tratti certo di una politica di destra.
Il dibattito ha un solo scopo pretestuoso: appropriarsi di Monti per poterlo “vendere” al momento delle elezioni. Perché la politica del dopo non sarà mai più come quella del prima.
Il governo Monti segnerà uno spartiacque tra la disgraziata era berlusconiana, l’era dell’inefficienza, della stasi e del populismo e un’era che non si sa ancora cosa sarà. Le ipotesi sono due: o si continuerà sulla via del risanamento e delle riforme o si ricadrà nel triste gorgo dei nostri storici difetti: instabilità, corruzione, evasione, conflitto impotente. Quindi se le elezioni premieranno la compagine che si proporrà di continuare sulla strada virtuosa del riformismo, l’Italia si salverà. Se no andremo a fondo vanificando il lavoro Monti.
Ipotesi di destra o di sinistra? Smettiamola di fare i bambini.

Amoproust, 22 febbraio 2012.


martedì 14 febbraio 2012


Socialdemocratici o demosocialisti?

Ci risiamo. Trovo del tutto inutile e fumoso il dibattito identitario sulla natura del PD. Perché è un dibattito tutto rivolto al passato e per nulla consapevole dei tempi nuovi che stiamo attraversando e della storia che ci siamo lasciati alle spalle.
Il PD è nato come fusione delle diverse anime del riformismo e si basa sulla considerazione che è del tutto inutile guardarsi in cagnesco e farsi la guerra in nome delle ideologie, quando si persegue uno scopo comune. Le anime del riformismo sono quelle antitetiche al conservatorismo borghese, che ritiene acquisiti i diritti e immutabili i privilegi. Riformare è equivalente a prendere in considerazione un problema e “aggiornarlo” alla luce dei principi immutabili di uguaglianza universale, giustizia, equità  e  maggior benessere e tenendo d’occhio le possibilità economiche e soprattutto a che condurrà  l’evoluzione futura. Un vero riformista non liquiderà mai un problema come quello dell’immigrazione con un semplice “respingimento” ma prima di tutto considererà i diritti dell’uomo, poi il bene dell’individuo e la sua capacità di portare utilità alla collettività. Così via. Il moderno riformismo, e qui siamo al punto, non si basa su schemi ideologici, su dottrine (come può essere il marxismo o il socialismo utopico o la dottrina sociale della Chiesa) ma è pragmatico e operativo e teso al benessere comune e guarda al futuro. Sfide continuamente nuove si propongono, e non possiamo valutarle con il libretto rosso in mano. Per esempio il tema del clima e dell’ecologia: fino a trent’anni fa era una materia per nicchie e per studiosi dilettanti e per anime belle, oggi si impone come una sfida epocale. Vent’anni fa i sindacati avrebbero fatto carte false per avere tout court una fabbrica – oggi dobbiamo stare attenti all’inquinamento e a cosa può comportare un’occupazione selvaggia del suolo. Ne va della vita delle future generazioni. Così ieri si lottava per dare a tutti una “seicento” (mi ricordo i discorsi degli anni sessanta) – oggi riteniamo molto più fondamentale la salute, l’istruzione e gli investimenti per la ricerca (che un certo sindacalismo del passato avrebbe irriso). Insomma occhi fissi in avanti sul progresso della società inteso come avanzamento progressivo verso la libertà, l’uguaglianza, la parità di diritti, la ridistribuzione del reddito. Quindi tutto questo chiacchierare sul tema se siamo socialdemocratici o che, è un inutile sguardo alle etichettature del passato. Vorrei chiedere che significato ha ai fini operativi, appunto del progresso (stiamo attenti a ciò che vuol dire questa parola e a non confonderla con l’esasperazione della tecnologia e della cosiddetta modernità). Il passato va studiato e rispettato,  mai mitizzato.

Amoproust – 14 febbraio 2012
San Valentino: AUGURI!

sabato 4 febbraio 2012


Articolo 18 sì - articolo 18 no.

Probabilmente il professor Monti non avrebbe mai voluto essere tirato dentro per la manica della giacca, come si dice, nel dibattito relativo all’art.18. Ma è cosa vecchia, forse anche un po’ scontata. Quando si tratta di mercato del lavoro, i sindacati si arroccano (anche a ragione - l'esperienza insegna a essere prudenti) e alzano le orecchie che fischiano… si vogliono toccare i diritti dei lavoratori. E torna in ballo l’art. 18.

Forse un po’ di calma e di pacato ragionamento non guasterebbe. Il problema non è l’art.18, che peraltro riguarda solo una platea ristretta di lavoratori, quelli delle grandi aziende (e in Italia il 90% delle aziende sono medie o piccole) e solo per problemi di giusta causa. Cioè l’azienda può licenziare e lo vediamo tutti i giorni per le cause più disparate (e la riduzione del personale per motivi economici è tra queste) – non può farlo per una causa ingiusta. Cioè (a questo si pensava in sede di stesura dello Statuto dei lavoratori) per motivi politico/ideologici o sindacali o di discriminazione qualsiasi. Se ti licenzio perché sei gay è una causa ingiusta e – a norma dell’art. 18 – il giudice ti reintegra nel posto di lavoro. Ma questo non vale per le medie/piccole aziende per cui se un gay è licenziato da una media e piccola azienda amen, nessuno può dire nulla! E’ serietà e giustizia questa?

Insomma per esser equanimi e ragionevoli occorre:
  • unificare i diritti dei lavoratori qualsiasi contratto abbiano e qualsiasi sia la dimensione dell’azienda (semmai quindi allargare la protezione e non restringerla se si parla di discriminazione)
  • ridurre le tipologie di contratto ed eliminare i contratti che creano precariato e non sono tutelati come il posto a tempo indeterminato
  • se l’azienda può licenziare in caso di crisi o di ristrutturazione o di importanti ragioni economiche – i lavoratori debbono essere tutelati con formule ponte che li traghettino verso altri posti di lavoro (si chiamino pierino o pippo poco importa)
  • creare le condizioni economiche perché il lavoro ci sia e cresca e si aprano nuove imprese che assumono: attrarre investimenti è importante sia all’interno che dall’estero.
Ora mi pare, da quel che si legge, che Monti e Fornero queste cose le abbiano ben chiare e che non intendano affatto fare stragi di posti di lavoro, ma semmai creare un mercato diverso, più mobile, più elastico dove, se uno perde un posto ne trova un altro perché il mercato è ricco di offerte. Vedi la Germania. Ci vuol tempo per questo, è vero, ora c’è la crisi e le aziende chiudono, è giusto creare tutele, ma occorre anche pensare al futuro e ai giovani e a combattere la loro precarietà.

I sindacati protestano: è il loro mestiere. Ma forse non è che sono anche un po’ conservatori e sulle difensive, per nulla fiduciosi, diffidenti, poco aperti a innovazioni? Non lo so, i sindacati Amoproust li rispetta, avranno le loro ragioni. Ma è pur vero che significative proposte di riforma del mercato del lavoro (leggi Ichino) sono sempre state bollate come pericolose o di destra.

Purtroppo questa squadra di governo qualche frase infelice se l’è lasciata scappare come quella del sottosegretario Martone che ha definito sfigati coloro che si laureano a 28 anni, senza ben distinguere; come lo stesso Monti che ha definito “noioso” il posto fisso (lo vada a dire a chi l’ha perso). Noioso e ben di più è essere senza lavoro, è rimanere a casa senza prospettive, è esser precari per anni  e anni senza speranza di poter fare una vita normale (una famiglia, una casa, un mutuo). Forse è infelice parlare di noia quando impera la disoccupazione e si deve tirare la cinghia. Certo è bellissimo saltare da un posto all’altro, fare diverse esperienze lavorative, crescere, cambiare. Ma solo un mercato aperto e in marcia lo può permettere.

Io mi sono laureato, guarda un po’, proprio a 28 anni ma dopo aver perso due anni di scuola per motivi economici e mi sono laureato lavorando sempre perché mi dovevo mantenere e - quando mi sono laureato - avevo un figlio piccolo in braccio e i professori dandomi il 110 e lode, mi fecero i complimenti. Altri tempi.

Ma i figli di papà - anche oggi come allora - che tentano un esame all’anno e vivono nell’ignavia e nel disinteresse per il loro futuro, forse non si laureano mai. Il fuoricorsismo facile è una vera piaga dell’università italiana. O, anche se a trent’anni si eredita lo studio di avvocato o quello di notaio o lo studio dentistico del padre, ignoranti come becchi, veri pericoli pubblici, possiamo definire questi tipi sfigati? Direi di sì, anzi parassiti e più che bamboccioni.  
Per fortuna non è questa la condizione dei nostri giovani in maggior parte. E’ vero, va risuscitato  il merito e la pari opportunità non dovrebbe essere una pura fantasia. Ma il giovane che si dà da fare per crescere e sapere e formarsi va premiato e sorretto e incoraggiato. Speriamo.

Amoproust – 4 febbraio 2012