lunedì 27 febbraio 2017

Fine vita

Il dibattito sul fine vita in Italia ha qualcosa di surreale e disumano. Disumano perché parlamentari in piena salute e gente che non conosce la pienezza e lo stravolgimento del dolore discetta di “sacralità della vita” e di “vita non nelle nostre mani” mentre uomini e donne come loro soffrono o sono in stato di incoscienza forzata da anni.

Sia ben chiaro: la vita è un dono che non va sprecato, ma bisogna chiedersi cos’è la vita. La vita è coscienza e relazione, è capacità di esprimere se stessi, è pensiero e creatività. Tutto ciò non esclude la sofferenza, che tutti abbiamo incontrato e con la quale abbiamo lottato in innumerevoli occasioni. Ma la sofferenza ha un senso quando può essere superata, quando non diventa invasiva e toglie alla vita ogni parvenza di qualità e di autonomia. Quando sostituisce la vita e segna un cammino che prevede solo devastazione e orrore, non ha senso.

Allora scatta il diritto per ciascuno di noi di dire di no. E se le condizioni mentali e fisiche lo impediscono esiste il diritto di avere previsto e deliberato un no in anticipo, con un testamento che prevede l’interruzione delle cure inutili e del mantenimento in vita artificiale. Per questo ci vuole una legge che in Italia non c’è e che è ora che ci sia, al più presto.

In nome della vita si oppongono forze che si appellano alla religione cristiana, forze clericali che pensano che il diritto di togliere la vita spetti solo a Dio e che se Dio mantiene ancora un cuore che batte e un corpo vivo anche se esanime e del tutto incosciente, non sia lecito staccare la spina.

Modo di pensare legittimo all’interno di una concezione religiosa che nessuno pensa di abbattere. Vale per chi vi appartiene e vi crede. Ma non per gli altri, per i laici e per tutti coloro che preferiscono, anche se credenti, pensare che non sia umano mantenere la sofferenza e l’incoscienza come unica manifestazione di vita.

Il testamento biologico non obbliga nessuno a farlo. Nessuno obbliga a togliere nutrizione artificiale e cure palliative se non lo si chiede espressamente. Questo sia chiaro. Come nessuno obbliga una donna ad abortire o una coppia a divorziare se non lo desiderano.

Fatti salvi i diritti dei “fedeli” una legge è necessaria. Sul testamento biologico. Io, per esempio, non ho nessuna intenzione di stare mesi o anni in coma assistito o sofferente in un letto senza alcuna speranza di guarigione. Sento il diritto di chiedere di non essere mantenuto in vita artificialmente e di morire in pace naturalmente senza alcuna forma di accanimento terapeutico. E lo voglio dire prima, quando la mia volontà e capacità di esprimermi è intatta. E nessun medico potrà porre obiezione.

Nessuno può contestare questo diritto. Chi si oppone a una legge che permetta tutto questo a chi lo desidera, è un barbaro disumano, un fautore della tortura e della morte vera, che è un corpo privo della gioia di muoversi e relazionarsi con gli altri.


Amoproust, 27 febbraio 2017

domenica 19 febbraio 2017

la sciagura

La  sciagura

La potenziale scissione del PD è una sciagura nazionale ed europea. Perché si tratta del più importante partito della sinistra in Italia e  in Europa. L’unico a governare.

Una sciagura per l’instabilità che crea e le conseguenze politiche oggi non valutabili a freddo. In un momento storico in cui le destre rimontano e i cosiddetti populismi (io preferisco parlare di forze sostanzialmente anarchiche, antisistema senza un preciso orientamento politico costruttivo) crescono ogni giorno.

E i problemi nazionali e internazionali sono lì, a marcire senza soluzione, giorno dopo giorno: il lavoro, la povertà, i migranti, le disuguaglianze, il debito pubblico, la corruzione.

E’ un’azione da irresponsabili. Non importa di chi è la colpa. Può essere attribuita a Renzi o ai suoi oppositori (frammentati come non mai) ma di fatto è una forza che si disfa lasciando colpevolmente il campo agli avversari. Un esercito in rotta o, meglio, di disertori.

Parole dure. Mentre scrivo queste brevi righe con il cuore pieno di amarezza, si sta consumando l’Assemblea del PD. Comunque vada, un sogno a sinistra si è infranto sulle secche delle periodiche scissioni e divisioni che hanno oscurato sempre il sol dell’avvenire.

Il futuro che si apre è oscuro. La buona politica non regge di fronte ai personalismi. Non mi auguro nulla se non, egoisticamente per me, una vecchiaia serena. Sarà dura.

I giovani facciano loro. Guardino questo italico panorama desolato e ne traggano le conseguenze.


Amoproust, 19 febbraio 2017

sabato 11 febbraio 2017

intellettuali e competenti

Intellettuali e competenti.

Periodicamente compare all’ordine del giorno un attacco alla stampa oppure un’intollerante alzata di spalle verso gli intellettuali.

La libertà di stampa è sempre stata osteggiata dai regimi, perché l’opposizione vive grazie alla carta stampata e, oggi, anche alle Tv e alla rete.  I regimi quindi cercano di censurare, tagliare e imprigionare chi parla troppo liberamente e fuori dagli schemi imposti da chi governa, legittimamente o, più spesso, in modo illegittimo.

Capita anche però che la stampa (i media in generale) venga attaccata da forze politiche che, al governo o all’opposizione, si sentono oggetto di critica, di scherno o di satira. E’ l’intolleranza mentre si vorrebbe sempre essere elogiati e riveriti. La democrazia invece vuole il diritto di critica e di satira, fino al limite (non superabile) dell’ingiuria e della calunnia. I partiti politici o i movimenti della società civile non possono sottrarsi alla pubblica opinione che si esprime attraverso i media e devono tollerare il vaglio dei loro comportamenti. Ciò comporta qualche rischio, ma è inevitabile.

Diverso in parte è il discorso sugli intellettuali. Occorre intenderci su chi si cela dietro questa parola e chi può arrogarsi il diritto di chiamarsi “intellettuale”. Non raramente rozzi uomini politici hanno mostrato disprezzo verso questa categoria: il “culturame” di scelbiana memoria e l’espressione recentemente usata “con la cultura non si mangia” ne sono la spia.

Intellettuale è chi pensa, chi ha come arma la cultura o la competenza. Intellettuale è chi sottopone al vaglio della ragione le azioni o le intenzioni degli uomini, dei partiti o dei movimenti. L’intellettuale dovrebbe essere “privo di pregiudizi” (cosa difficilissima per la natura stessa dell’uomo che tende a schierarsi). Intellettuale è l’uomo di cultura intendendo non solo chi ha studiato e letto molti libri, ma chi valuta con occhio critico la cronaca e la storia.  L’intellettuale ha vita difficile sotto i regimi  e le dittature in genere. Non è necessario fare citazioni.

Poi c’è la competenza. E questa si articola per materie. Il filosofo non ha competenza in scienza delle costruzioni, come l’ingegnere non ha competenza in questioni di legge. Quindi l’intellettuale farà bene a non pronunciarsi in questioni in cui non è competente, oppure dovrà limitarsi a opinioni di indirizzo, lecite per tutti coloro che hanno l’età della ragione. Anche se l’intellettuale non ha una laurea in geologia, potrà sempre sostenere che costruire laddove c’è rischio sismico o idrogeologico è una scemenza, come lo può fare anche un ragazzino di dodici anni.

L’uomo politico che siede in Parlamento o nel Governo del paese non può essere competente in tutto. Ma in agire politico sì, in amministrazione quel tanto che occorre per costruire regole, leggi e provvedimenti equi. Potrà servirsi di consulenti, dovrà costruirsi una squadra di esperti che lo aiutino o, altrimenti, si esporrà a incidenti o farà guai.

Sotto gli occhi di tutti sono due esempi contemporanei clamorosi anche se diversissimi per luogo e potere: Trump e Raggi.

Il nuovo Presidente degli USA sta agendo impulsivamente (senza competenza) nel tentativo di realizzare a spron battuto le promesse fatte in campagna elettorale per ringraziarsi i suoi elettori. Quindi rischia grosso, infrangendo leggi federali e mettendosi in cattiva luce presso alleati storici e l’opinione pubblica mondiale. Agisce cioè da “dittatore” immune da contropoteri che in una democrazia compiuta esistono e sono presenti. Rischia grosso, rischia l’impopolarità sui due versanti dei suoi e dell’opposizione (i suoi perché non vedono realizzate le sue proposte e dell’opposizione per ovvi motivi). Quindi o si trasforma in dittatore vero (ma si può negli USA?) o rientra nei ranghi di una politica “possibile”.

Il sindaco Raggi (non mi piace sindaca, è un neologismo orribile nato in omaggio a una moda di rispetto del gender) è meno importante sul piano politico internazionale,  ma è vitale per la politica italiana, come sindaco della capitale Roma, caput mundi. Ora dopo sette mesi dalla sua elezione è più il tempo passato a creare posti in giunta e a disfarli, a difendersi da accuse, a gestire il suo rapporto con Grillo e gli altri del M5S che a governare, a gestire una città profondamente ferita (non per colpa sua, s’intende), in crisi, senza risorse, malata, con corruzione diffusa. Ne è capace? Ha qualche competenza specifica? Forse una laurea in legge non basta, occorre una squadra veramente competente e una risolutezza che il personaggio non mostra: o si è succubi di Grillo e della Casaleggio associati o non si fa nulla. Raggi si è circondata da uomini controversi o addirittura già sotto il mirino della magistratura, uno in galera. Ma chi ha eletto Grillo? Il sindaco risponde solo ai suoi elettori e alla città. Altrimenti si dimette.

A questi due esempi se ne potrebbero aggiungere molti, contemporanei o meno. Ma non è il caso. Chi vuol intendere, ha inteso.

Amoproust, 11 febbraio 2017.



domenica 5 febbraio 2017

la storia si ripete - con maggiore consapevolezza

La storia si ripete?

La risposta è implicita nella domanda: è un sì. La storia si ripete ma ogni volta con un livello di consapevolezza superiore, perché gli errori generano e trasmettono coscienza di sé. Se dovessi tracciare un grafico farei un’onda ciclica  che sale progressivamente di livello. Ciò non esclude affatto che l’umanità - sui tempi lunghi andrà ad estinguersi per lasciare il posto  a un essere vivente più evoluto e capace di adattamento. Tutto dipende dal'intelligenza con cui l'uomo saprà gestire le sue risorse e quelle del pianeta. Ma nessuno di noi lo vedrà.

Ovunque fioriscono previsioni catastrofiche e pessimiste: la democrazia in crisi, prevalenza dei regimi forti, disuguaglianza progressiva, isolazionismo o globalismo distruttivo. Ogni previsione va verso il peggio.

Gli uomini forti sono sempre esistiti e hanno spesso determinato svolte epocali o periodi oscuri. Hitler e Mussolini, Stalin e Polpot sono solo dietro l’angolo della storia, ma sono stati schiacciati dalla politica reale e dai loro stessi errori criminali. L’avvento di Trump alla Casa Bianca ha determinato orrore negli ambienti liberal e progressisti di tutto il mondo. Ma anche lui passerà e delle sue controriforme non resterà traccia a lungo. Perché sostenuto da una minoranza bianca cristiana retrograda e xenofoba, vale a dire antistorica, perché la storia va, sui tempi lunghi, in direzione contraria: maggiore uguaglianza, rispetto degli altri, diritti religiosi e civili, maggiore collaborazione tra i popoli, cioè globalizzazione positiva incoercibile.  Lo dicono gli strumenti di comunicazione di massa. Oggi una censura delle informazioni è impossibile, qualcuno ci tenta, ma fallirà.

Gli uomini forti hanno un destino comune: per realizzare i loro progetti devono eliminare le garanzie democratiche, trasformarsi in piccoli o grandi dittatori. Così creano un’opposizione  sempre più marcata cui seguono incarcerazioni abusive e, nei fatti, abolizione dei contropoteri di bilanciamento. Inevitabilmente segue la rivoluzione, la caduta e la fine (con scenari diversi ma questo è lo schema storico). Tempo perso per il cammino progressista. Trump è il Presidente degli USA: può trasformarsi in dittatore come Putin, Erdogan, Orban?

Parlo sui tempi lunghi e con la consapevolezza che la curva negativa del grafico provoca crisi, orrore e morti, guerre e stragi. Ma riprenderà la curva positiva, tutti lo sperano e il senso della positività è chiaro: maggiore libertà, maggiori relazioni, ponti e non muri.

E’ ottimismo? In parte sì, ma è anche lettura della storia. Nel secolo XIX e XX l’Europa è stata insanguinata da guerre fratricide nell’intento che fossero utili a realizzare obbiettivi o nazionali o economici. Sono state utili? Sì, soprattutto perché hanno spazzato via regimi “forti” e hanno prodotto consapevolezza che lo strumento guerra non risolve problemi ma li genera. No, perché oggi c’è la consapevolezza che ogni guerra è solo morte e distruzione. Oggi pensare  a una guerra in Europa è semplicemente folle. Abbiamo sì altri problemi ma di crescita. Così anche negli Stati Uniti dove per fortuna la guerra civile è un ricordo. Le ferite però rimangono come cicatrici. Chi non le sa leggere è solo un ignorante che   gioca la carta del potere e non sa imparare dagli eventi. Non per nulla i grandi “antistorici” si vantano sempre di non aver mai letto un libro (Reagan). Penso che Trump di libri ne abbia letti pochi.

Oggi le guerre imperversano in altri settori del globo per gli errori commessi nel passato dagli europei stessi e per divisioni territoriali sostenute da fanatismi e integralismi. Un ciclo storico arretrato. Anche in Europa ci sono stati fanatismi e guerre di religione con i dovuti morti. Cattolici e protestanti si sono fatti reciprocamente la pelle per secoli. Finirà anche altrove.

Stalin irriverente si domandava “quante divisioni ha il papa?”. Lui è finito e il suo sistema anche ma la Chiesa di Roma è ancora in piedi e il Pontefice predica pace e uguaglianza. Non è passato nemmeno un secolo. Anche nella Chiesa ci sono cicli: dal reazionario Papa Pio X al Concilio e a papa Giovanni e Paolo VI sono seguiti poi Giovanni Paolo II e Ratzinger, conservatori. Ma la conservazione in un tempo ribollente di richieste di riforme non ha retto. Ed ecco papa Bergoglio.

Insomma se leggiamo i segnali della storia dobbiamo pensare positivo. Questo non significa arrendersi e non combattere, anzi! Il pensiero positivo genera attivismo mentre la negatività può generare solo apatia e rassegnazione.

Un altro tema molto discusso è la globalizzazione e la disuguaglianza enorme tra ricchi (sempre meno e sempre più tali) e i poveri (sempre di più).

La globalizzazione in sé è un bene. Crea relazioni sempre più ampie tra i popoli. Amplifica la trasparenza e l’informazione. E’ la premessa per un mondo migliore. Ma se il mondo è dominato dal capitalismo parassitario (vedi Baumann) la globalizzazione crea le condizioni per uno sfruttamento sempre più forte dei deboli e il dominio dei forti. Le materie prime vengono rapite ai paesi che le possiedono e il lavoro delocalizzato dove costa meno. La catena avvantaggia chi ha il capitale, l’imprenditoria senza scrupoli, le multinazionali. Il capitalismo parassitario tende a ridurre il welfare nei paesi che l’hanno e a impedire che forme di tutela si instaurino dove non ci sono. Questo significa pochi ricchissimi e molti poverissimi. Già oggi si parla di otto individui che hanno l’80% del capitale mondiale

Ma la storia non finisce qui.

Non è pensabile che miliardi di sfruttati a lungo sopportino questa condizione di ingiustizia che l’istruzione  e appunto la globalizzazione delle comunicazioni svela sempre più. Ci saranno rivoluzioni e rovesciamenti. Lotta di classe mondiale. Distribuzione della ricchezza.

La rivoluzione francese del 1789 ha visto l’insorgere della borghesia produttiva contro l’aristocrazia parassitaria che viveva nei castelli e a corte senza pagare imposte e è finita come sappiamo. È venuta poi la restaurazione ma il mondo non è stato più come prima. Il seme della rivoluzione ha cambiato le classi sociali e i rapporti economici.

La rivoluzione russa del 1917 è nata da un proletariato affamato e da un esercito stremato dalla guerra contro una corte zarista imbelle e incapace di riforme e l’ha spazzata via. Dopo il comunismo (che pure ha realizzato un certo livellamento delle classi e un’economia non solo rurale – l’industrializzazione) che è poi precipitato nella dittatura. Ma anche quella è finita e il processo non è ancora esaurito.

La lettura della storia oggi (a un livello di consapevolezza sociale mai avuto nella società nel passato) ci dice che o quei pochi ricchi, se prevarrà l’intelligenza, useranno il loro capitale per creare progresso e lavoro  e partecipazione oppure la rivolta delle classi subalterne li sconfiggerà.  La prima ipotesi  è difficile, la seconda probabile.

Un’ultima notazione critica: a monte del discorso c’è la concezione occidentale della proprietà privata come inalienabile che non può continuare così. Se ammettiamo che – al limite – un solo individuo possa possedere tutti i beni della terra (possibile secondo la concezione inalienabile) blocchiamo ogni possibile progresso. E’ quindi necessario che si ponga un limite (ed ecco l’intervento degli Stati) al possesso infinito di beni. Deve essere stabilito un limite alla proprietà non investita in imprenditoria che genera lavoro, cioè parassitaria. Com’è stato per il latifondo. E questo può avvenire solo con la leva fiscale e con misure restrittive ai paradisi fiscali, veri ostacoli oggi all’uso corretto del capitale. Un’economia sfrenatamente libera, senza l’intervento moderatore degli Stati, genera solo povertà. Che piaccia o non piaccia.

Amoproust, 5 febbraio 2017



venerdì 3 febbraio 2017

Benedetta tecnologia

Benedetta tecnologia

Devo andare in treno a Milano perché mi sono stancato delle ore di guida in auto, corredate da code e imprevisti. Così accetto l’invito a servirsi dei mezzi pubblici. Parcheggio alla stazione di Somma Lombardo (parcheggio che mi hanno detto comodissimo, ma non è proprio così), trovo posto, sotto un’incipiente nevicata. Novità (non recente ma novità per me che non prendo il treno da un secolo): non c’è più la biglietteria. Mi dice un giovane in attesa, gentilissimo: vendono i biglietti al bar di fianco alla stazione oppure li deve comprare su Internet (in tutto 11 euro!). Esco (nevica forte) e vado a prendere i biglietti, rischiando di cadere sul terreno ghiacciato. I biglietti  vanno obliterati in stazione. Il treno passa al terzo binario. Nevica: sottopassaggio intasato da viaggiatori che aspettano l’arrivo del treno. Non c’è una pensilina, quindi tutti “sotto”, sui gradini in un pigia pigia da carro merci. Arriva il convoglio (piuttosto bruttotto e sporco) e trovo due posti, per me e Donatella. Caldo cane. Potevo non comprare i biglietti, non passa nessun controllore. Faccio questo pensiero e mi vergogno. Ma la tecnologia alla fine premia i ladri?

Insomma: la stazione non esiste praticamente più, è solo una casa abbandonata nel Far West “Lombardland”.  Non c’è pensilina, non c’è capostazione, non c’è una guardia. Tutto automatizzato. E se capita qualcosa di insolito? Dio provvederà. I ragazzi e gli extracomunitari che viaggiano con noi hanno l’aria stremata di cani bastonati. Sono studenti e poveracci, habitués di questi “servizi pubblici”. Come i pendolari che ci hanno preceduti nelle ore del mattino. Qualcuno di loro potrebbe utilmente occupare i posti di bigliettaio, capostazione, capotreno, guardia.  Con la disoccupazione che c’è…

I caselli autostradali sono “non presidiati” in gran parte nelle uscite - chiamiamole così - di minore importanza: se non hai il Telepass o la viacard o moneta pronta sei fregato, non  passi. Un casellante? No. Aiuterebbe l’occupazione. 

L’autostrada Pedemontana (presidente Antonio Di Pietro) non ha neppure i caselli. Sei fotografato e registrato da telecamere. Solo che (piccolo particolare) devi registrarti su Internet o avere il Telepass. Altrimenti ti arriva  a casa la fattura e la multa. Il sistema costa più o meno di qualche posto di lavoro? Certamente, dato l’afflusso scarsissimo di traffico su quella tratta (breve per ora)  non si è ancora ripagato. Ma non ha dato lavoro se non a qualche softwarista precario. A parte i cantieri infiniti su cui i soliti marpioni si sono arricchiti.

Altri esempi di tecnologia bruta che frega posti di lavoro? I call center elefantiaci all’estero per cui parli con qualcuno che conosce poco la tua lingua e non capisce il tuo problema. Se ne  servono tutti per risparmiare delocalizzando in Romania, Bulgaria, mi dicono anche Cina: provider telefonici, banche, assicurazioni, società di marketing.  Disservizio e in Italia c’è disoccupazione.

La gestione di tutto è già oggi automatizzata e spersonalizzata. Ci aspettano le commesse robot e i droni al posto dei pony delle consegne. Le auto che vanno da sole e i taxi aerei auto pilotati. Come nelle fabbriche dove i robot hanno sostituito gli operai della catena di montaggio. Qualcuno dirà: ma bisogna costruirli i robot. Ma niente vieta che robot costruiscano robot in una catena infinita di causa-effetto che ricorda il ricorso a un Dio creatore per spiegare l’Universo. Ci sarà un giorno un Dio robot che si autoprogetterà e progetterà i progettisti dei progetti? E il lavoro della gente? Ci sarà una disumanizzazione totale?

Vai dal medico? Non ti guarda più in faccia. Deve fare tutto sul computer: annotazioni cliniche, prescrizioni, ricette, impegnative. Il sistema è complicatissimo: ogni impegnativa o ricetta deve essere registrata dal sistema centrale prima di essere sottoscritta. Codici a barre e codici informatici. Il medico strabuzza stravolto gli occhi sul suo PC, si arrabbia perché è lento e il sistema disfunziona. Si dimentica che tu esisti. Si ricorda solo che c’è una coda infinita nell’ambulatorio e che prima di sera dovrà ripetere infinite volte operazioni detestate e prescritte dal sistema sanitario. Quant’era bello auscultare i toraci dei pazienti e picchiettare la loro pancia! Ma non lo sa fare più! Oh la bellezza di provare la pressione, di far denudare le donne per verificare i noduli al seno!!

Dal farmacista si ripete la storia: ho contato otto letture  di codici per ogni ricetta. Codici  del farmaco, dell’assistito, della farmacia, del medico. Alla fine la farmacista scrive a mano un numero su ogni ricetta. Perché?

Al contrario la povera gente non si è minimamente evoluta: ha paura della tecnologia. I pensionati ritirano in contanti la pensione alle poste e la spendono al super nei primi giorni del mese, tenendo il rimanente dei contanti in casa. Non si fidano né dei depositi postali o bancari, né delle carte di credito e dei bancomat. Prelevare i soldi in mezzo alla strada? Mai. Peccato che i furti e le truffe nelle case aumentano costantemente. Conosco un ricco pensionato che ritira dalla banca 4999 euro al mese, per non incorrere nelle disposizioni antiriciclaggio e non servirsi della moneta elettronica. E se glieli fregano a domicilio? Basta che i ladri conoscano la sua abitudine rituale.

Quindi c’è una tecnologia che dovrebbe aiutare a vivere meglio e di fatto fa crescere la disoccupazione e i disagi.  E c’è una tecnologia che di fatto aiuta e di cui la gente non si fida. In Italia l’uso del contante è spropositato. Da una parte sfiducia e dall’altra evasione fiscale. Perché il contante è al portatore e non lascia traccia. Ma è ormai un mezzo di scambio del passato.

Ci vorrebbe moderazione da parte di chi usa la tecnologia solo per risparmiare e arricchirsi e dovrebbe invece pensare al “servizio” che è fatto anche di umanità e relazione. Ci vorrebbe poi educazione del pubblico all’uso della buona tecnologia che offre sicurezza e modernità. Lo Stato, la gestione pubblica, l’istruzione dovrebbe occuparsi di mediare tra il popolo e gli strumenti di comunicazione e di gestione. Educare con la parola  e non solo con i social network che in gran parte diseducano.

E il lavoro? Al tempo della prima rivoluzione  industriale i seguaci di Ludd distruggevano le macchine perché, secondo loro, portavano via lavoro ai poveracci. Sbagliavano essendo nel giusto: perché è vero ma le macchine e l’automazione tolgono lavoro manuale ma creano altri tipi di lavoro intellettuale per cui occorre istruzione e formazione. Questa serve.

Dobbiamo alla fine capire che esiste un limite all’automazione e alla tecnicità. E questo limite è insito nella necessità della relazione umana e della gestione personalizzata dei rapporti. Non è insito nelle potenzialità della tecnologia che sono imprevedibili  ma sicuramente non finite. Perché un cameriere robot e un cuoco robot potrebbero offrirmi un’ottima cena, ma non il calore e la vicinanza e il sorriso di un essere umano, uomo o donna che sia. Anche lo sgarbo e la scorrettezza di cui lamentarmi, perché no?


Amoproust, 3 febbraio 2017.