sabato 3 giugno 2017

Ironia amara

Non ci rimane che un’amara ironia

Il  quadro delle vicende politiche italiane è ormai di uno squallore unico. Sulla questione della riforma elettorale i partiti si accordano al minimo comun denominatore per trovare uno straccio di testo (infimo per altro – alcuni commentatori dicono peggiore del Porcellum – il che è tutto dire). 
Tutti, proprio tutti, pensano solo alla propria sopravvivenza e a generare una posizione di partenza privilegiata. Il bene del Paese, la governabilità? Ma chissenefrega. Eppure ci sarebbe il tempo per ragionare e trovare un accordo e una maggioranza migliore. No, meglio (chissa perché!) elezioni anticipate (o affrettate) a cinque mesi dalla scadenza naturale della legislatura. Con una legge pastrocchio che, nella migliore delle ipotesi, porterà dritto l’Italia alle larghe intese PD-FI. Risultato: un totale immobilismo quando sarebbe ora di muoversi, cambiare ritmo, fare le giuste riforme per il lavoro, la crescita economica, i diritti. Non parlo dei contraccolpi sulla finanza internazionale perché non ci capisco nulla, ma sarà una catastrofe greca.

Renzi è il peggior gaglioffo della situazione. Freme per  tornare al volante di palazzo Chigi, solo che troverà un freno  a mano. E’ ambizioso il ragazzo, ha da sistemare questioni di famiglia (estesa) e conti da far pagare ai suoi avversari interni per lo più. E’ questa la cosa orrenda e ridicola: si attaccano i sodali a sinistra, si ammicca al nemico a destra. E gli scissionisti del PD contraccambiano con uguale odio e livore. Lo dimostra la ridicola farsa dei voucher: è materia così grave da mettere in crisi un governo? Una qualche regolamentazione dei “lavoretti” e del loro compenso bisognerà pur farla. Ma il PD (Poletti e il governo) insistono per permettere l’accesso  ai voucher anche per le piccole imprese (perché mai se sono imprese?), gli antagonisti (ispirati dalla rancorosa Camusso) non li vogliono proprio. Così la casalinga che deve fare la salsa di pomodoro o ripulire il prato dalle erbacce pagherà il ragazzotto in nero e chi si è visto si è visto. Soluzione all’italiana: chiudere gli occhi e continuare come sempre si è fatto.

Il miglior modo per non risolvere problemi è far finta che non esistano. In Parlamento giacciono disegni di legge approvati per metà (da una sola Camera, perché ahimè abbiamo voluto mantenerne in vita due, parallele e gemelle) che, con la fine della legislatura, decadranno e bisognerà cominciar daccapo. Ius soli, fine vita, processo penale, reato di tortura, codice antimafia, legalizzazione cannabis a scopo terapeutico: tutto spazzato via, un lavoro di anni per cinque mesi di legislatura interrotta a fine corsa. Come se un atleta che vede la fine, il traguardo, abbandonasse la corsa così, per nulla, perché glielo ha detto la mamma, “guarda che prendi il raffreddore!”. Mio Dio che insipienza tragica! O c’è del calcolo, una strana convergenza di interessi? Sarebbe il caso di non pagare i parlamentari che non hanno finito il lavoro. Altro che pensione a 65 anni!

Renzi corre e il M5S fa i salti di giubilo. Perché non è detto che la coalizione PD–FI funzioni davvero. Potrebbero mancare i numeri e il vento delle elezioni virare verso i pentastellati che potrebbero trovare un facile alleato tanto per governare o tentare di farlo. Si potrebbe dire: poco male, mettiamoli alla prova, vediamo cosa sanno fare anche loro, sono il nuovo che avanza. Sì, giusto. Solo che vorrei sapere con quale programma vorranno governare perché nelle loro forsennate urla e raduni di piazza e social hanno detto di tutto e il contrario di tutto. Ci porteranno fuori dall’euro e con quali garanzie? Grillo sarà il “grande vecchio” di personaggini scelti con qualche clic sul web? Renzi è così incosciente che gioca questo rischio sulla pelle del paese. O ha segrete carte per fare come Maduro?

Alfano ha la bava alla bocca per come l’ha trattato Renzi. Vittima anche lui della realpolitik del fiorentino doc. Alleato “sacrificale” (ha abbandonato il capo per sostenere il governo del piccolo inciucio), con il premio di molti ministri nonostante il  pugno di voti, ministro dell’interno e degli esteri del tutto imbelle, ora paga la sua incapacità con una legge elettorale che lo sbatte probabilmente fuori. Qui Renzi ha ragione: se dopo anni di governo con tre/quattro ministri non superi il 5% vuol dire che non vali una cicca. E poi perché continuare con il piccolo inciucio se vedo all’orizzonte il grande inciucione?

Non scherziamo, anzi ridiamo perché ne vedremo delle belle. Abbiamo rottamato politici navigati perché “vecchi” e ora corriamo  a un accordo con un imbesuito ottantenne che non sa quello che dice. Ma ci rendiamo conto di quanto tutto questo è ridicolo?

Infine la ciliegina sulla torta. Pisapia vuole federare un nuovo centro sinistra con un po’ di rottami e cespuglietti per dar vita a una coalizione che si proponga alleata del PD per un governo tutto di centro-sinistra. Un nuovo ulivo. Ma come è pensabile tutto questo con l’attuale posizione del segretario del PD e le contrapposizioni violente in atto? Amo Pisapia, è stato un sindaco eccezionale, amo la sua voglia di unione e di governabilità chiara e trasparente, ma la realtà di oggi purtroppo è contro questo progetto fantapolitico. E sono contro i cosiddetti poteri forti o non forti in Europa.

Non ci resta che ironizzare su tutto, pensando che lo stellone italiano funzioni ancora una volta. Questo stellone potrebbe chiamarsi Sergio Mattarella che, con un colpo di reni e di giusta autorità paterna, dica no allo scioglimento delle Camere e inviti il Parlamento a concludere dignitosamente il suo lavoro, soprattutto a dar vita  a una legge elettorale che sia costituzionale e garantisca rappresentanza e governabilità. Quante volte si è detto tutto questo?

Avrebbe contro quasi tutti ma cosa potrebbero mai fare se Gentiloni, invitato dal Presidente,  non si dimettesse? Il suo partito, il PD, gli farebbe mancare la fiducia? O ci penserebbe Alfano per suicidarsi? Stiamo a guardare, non possiamo far altro se non dare punti di affidabilità e dignità per ricordarcene poi, nelle urne.


Amoproust, 3 giugno 2017

lunedì 22 maggio 2017

Elezioni amministrative

Giardina – Pilone

E rieccoci con le elezioni amministrative. Cinque anni sono volati in un soffio. Nel 2012 a sorpresa vinse la lista di Alberto Pilone, ex sindaco di Pombia e new entry per quanto riguarda l’amministrazione di Varallo Pombia. Molti varalpombiesi votarono per Pilone in quanto rappresentava appunto un “uomo nuovo” con esperienza amministrativa. I due contendenti principali  “la lista del Campanile” e “La piazza” persero: la prima certamente per esaurimento e stanchezza (dopo anni di governo) e la seconda perché formata da giovani definiti inesperti anche se pieni di buona volontà. “La piazza” arrivò seconda a 80 voti circa (se ricordo bene) dalla lista del vincente.

“La piazza” in questa tornata elettorale non si presenta. Ne ignoriamo a fondo le ragioni, perché c’erano tutte le premesse per una vittoria. La gente sente il bisogno di facce nuove, di giovani volenterosi. Il comportamento del rappresentante della lista in consiglio comunale Marco Chiappini è stato ineccepibile. Peccato che si ritiri.

Che dire invece dell’Amministrazione Pilone? Questi cinque anni sono stati segnati dalla vicenda “dissesto finanziario” con le ricadute – pesanti – sulla popolazione. Si poteva evitare? Molti sostengono di sì, altri dicono che era ineluttabile. Non è il caso in questa sede di riaprire una discussione.

Ma non voterò per Pilone per due semplici motivi: uno me lo fornisce lui stesso nel volantino della sua campagna elettorale. Lo slogan “non saremo simpatici, sicuramente siamo concreti” la dice lunga sulla “coscienza” del Sindaco. Io parlerei di empatia, non di simpatia. Un buon Sindaco sa entrare in empatia con i suoi dipendenti e cittadini, li sa ascoltare, sa interpretare i loro bisogni, non fa proclami e continue baruffe. Chi ha orecchi da intendere intenda.

Il secondo motivo fa il paio con il primo: è la dura presa di posizione del Sindaco contro i migranti e la richiesta di accoglienza degli stessi (vedi “la Stampa” di domenica 6 novembre 2016). A stupirmi è stata soprattutto la motivazione di “ordine pubblico”: come possono dieci migranti mettere a rischio l’ordine pubblico di una cittadina come Varallo Pombia? E’ chiaro che Pilone ha agito seguendo la pancia del paese, le chiacchiere da bar invece di ascoltare giustizia e solidarietà. I migranti non sono tutti pericolosi terroristi, stupratori e assassini. Sono per lo più povera gente in fuga da guerre, malattie e fame. Se qualcuno delinque è per gli identici motivi per cui delinque chiunque. Non accoglierli significa esacerbare una ferita sociale profonda. Pilone ha seguito la paura, cattiva consigliera.

Ecco i motivi per non votare una lista.

E l’altra? Ebbene mi è stato sottratto il naturale terreno per cui avrei scelto a ragion veduta (la lista “La Piazza”). Non intendo astenermi o votare scheda bianca.  Da  sempre ho votato (sempre!) E’ un diritto dovere. 

Quindi voterò una speranza: la lista di Gianni Giardina. Il candidato sindaco è un medico, un oncologo, un sostenitore della Lega contro i tumori. Spero e me lo auguro che sappia ascoltare e intervenire con la paziente cura e l’efficacia che è richiesta a un medico. La sua lista - poi - non ha scheletri nell’armadio: gente nuova, alcuni giovani. 

Spero soprattutto che Giardina usi diagnosi, cura  e bisturi dove occorra.


Mario Lucchini

venerdì 12 maggio 2017

Boschi - De Bortoli

Boschi - De Bortoli

Querelle ormai notissima, non c’è alcun bisogno di riassumerla. Mi limiterò ad alcuni commenti e riflessioni.

De Bortoli: perché ha deciso di inserire in un libro il potenziale scandalo? Non siamo verginelli: ma per vendere il libro e guadagnarci un po’! Se avesse denunciato la cosa in un articolo o in un’intervista non ci avrebbe guadagnato niente, palese palese. Quindi anche l’illustre giornalista ha il suo tornaconto. Non metto in discussione la sua indubbia professionalità, ma furbo lo è, come tutti. Il libro non lo comprerò.

Cosa è successo? E' bello pensare a una sceneggiatura...

“Pronto, Unicredit? Qui è il Ministro delle Riforme. Mi può passare Ghizzoni, l’a.d.?”
“Certo, subito, Ministro.”
“Pronto, ma che piacere, Ministro! A cosa devo la sua telefonata?”
“Niente di che. Come vanno le cose? La salute delle banche è nel mio cuore…”
“Abbastanza bene, Ministro…”
“Senta, Lei sa che in qualche banca ci sono dei problemi che coinvolgono impropriamente anche la mia famiglia…”
“Certo Ministro, conosco la situazione…”
“Senta può informarsi e vedere cosa si può fare?”
“Nessun disturbo. Farò ciò che è possibile…”
“Grazie mille e arrisentirci”.
“Dovere mio, signor Ministro.”

Ecco cosa può essere successo. Una semplice ipotesi. Di per sé niente di che. Telefonate del genere di tipo clientelare ne succedono in Italia mille al giorno: richieste di favori, raccomandazioni, richiami alla memoria, piccoli ricattini (ti ricordi cosa ho fatto per te?). Non c’è da meravigliarsi.

La maggior parte di queste “relazioni improprie” rimangono nascoste o perché nessuno dei protagonisti ha interesse alla divulgazione o perché  la faccenda va in porto e nessuno fiata.

In questo caso De Bortoli ha scoperto gli altarini (le sue fonti? Ma se in Unicredit è stato aperto un dossier su Banca Etruria quanti funzionari o impiegati sono stati coinvolti? Che qualcuno o per ritorsione o per altri motivi parli non è poi così difficile! Non è necessario che entri in scena Ghizzoni!)

Allora, scoppiato il caso, la via è una sola: le dimissioni della graziosa sottosegretaria (la sua carriera ne subirà le conseguenze? Ma tutti paghiamo le conseguenze delle nostre azioni!) e un serio ripensamento sul modo renziano di fare politica.

Modo che già più volte ha suscitato obiezioni: questo circondarsi di amici e di amici degli amici, queste relazioni con poteri occulti, questo fidarsi solo di un “cerchio magico”…

I poteri occulti esistono e sono sempre esistiti. Si chiamano Massoneria e P2 e Gladio e altro che i cittadini non conoscono ma che sarebbe bene fosse sepolto per sempre o che venisse alla luce. Questi poteri hanno portato il paese sulle soglie del golpe, hanno inquinato la democrazia e condizionato i governi.

Tramare nell’ombra per ottenere obiettivi di potere personale o condizionamenti delle leggi è cosa che si è sempre fatta ma non è cosa democratica. 

La democrazia è trasparenza e rigore e onestà.

Esiste ancora, è palese, in Italia una questione morale.


Amoproust, 12 maggio 2017.

mercoledì 10 maggio 2017

Una manica di c…

In questi ultimi giorni (o tempi – come preferite) la voglia di parlare di politica e dei problemi italiani scarseggia. Proprio non c’è. Ormai è chiaro: siamo in mano  a una manica di c… (metteteci quello che volete al posto dei puntini: cocainomani, corrotti,  cortigiani, codardi, cinici…).

A Roma ricompare il problema della spazzatura. Cosa fanno i politici? Litigano su di chi è la colpa. Invece di mettersi attorno  a un tavolo per trovare il rimedio a una situazione che puzza e che logora l’immagine dell’Italia. I 5 stelle ideologizzano: il problema è fare il 100% di raccolta differenziata, rifiuti zero (e intanto le strade sono pattumiere) e Renzi risponde: manderemo i nostri volontari a pulire le strade… Ma che rimedio è? Strutturale, rigoroso, radicale? No, solo propagandistico. 

E poi chi è Renzi? I media ci stanno abituando a considerarlo il dominus non solo del partito ma del paese. E non sta né al governo, né in una qualsiasi istituzione decisionale. E lo scandalo della sua “preferita” (quanto sa di Luigi XIV!) impazza.

I francesi hanno scelto Macron con una vera operazione democratica che si chiama ballottaggio. Di fronte al pericolo di consegnare il paese a una forza fascista e illiberale, la democrazia si è stretta attorno al candidato “moderato”: se volete il meno peggio ma anche la garanzia europea e della legalità. Noi - la nostra Corte ha definito il ballottaggio anticostituzionale (chissà perché) e ha dato in mano ai politici degli “stracci” di legge elettorale. Difficilissimi da ricomporre in una vera riforma che garantisca e rappresentanza e governabilità. 

E cosa fanno i nostri politici? Litigano, si insultano, propongono (solo il PD ha sulla piazza 5 diverse proposte di legge elettorale), non si mettono d’accordo. L’invito di Mattarella di dar vita a un qualcosa di unitario tra Camera e Senato, di compatibile e tale da dar vita a un esito positivo, cade quotidianamente nel vuoto. Per colpa degli “altri” si intende.

Non sono un qualunquista. Non dico che tutti i politici siano persone indegne, ma nell’insieme offrono uno spettacolo deprimente. Nei talk show imperversano imperterriti, difendono l’indifendibile, si coprono di medaglie e gettano fango sugli avversari. La domanda inquietante per il cittadino democratico e civile è: che fare?

Il meccanismo elettorale appare inceppato. Alternative? L’uomo forte come non pochi auspicano? Situazione turca?

Non c’è altra via se non una presa di coscienza collettiva forte e sdegnata. I cittadini sembrano capaci di mobilitarsi per difendere il proprio “giardino” (vedi TAV, TAP et similia). Non sono capaci di dire di no all’involuzione democratica? Oppure pensano che non sia un problema? Dove stanno i giovani? O succede qualcosa sul piano del popolo (quello vero, non quello tragicomico dei movimenti sedicenti alternativi) o siamo fritti. Condannati alla maglia nera in Europa e nel mondo.

Allora sì, quando ci sarà vera povertà collettiva e depressione economica e file per il pane e disoccupazione al 50% scatterà la rivoluzione, ma sarà una pagina brutta di orrori e distruzioni e ribellismi. Con esiti imprevedibili.


Amoproust, 10 maggio 2017

mercoledì 29 marzo 2017

Quid est veritas?

Quid est veritas?

Ė la domanda un po’ retorica, un po’ provocatoria, un po’ insolente lanciata da Pilato a Gesù, durante il processo farsa (Vangelo di san Giovanni 18/38).

Pilato, questa figura denigrata nei secoli, definito vigliacco, codardo, cinico. In effetti Pilato faceva il suo dovere: non voleva processare un “giusto” ma non poteva neppure esporre la sua procura a un’ennesima rivolta dei giudei, intolleranti del dominio di Roma. Affidando Gesù alla giustizia giudea del Sinedrio ”se ne lavava le mani”, espressione che indica lo scaricabarile ma anche la volontà di non macchiarsi del sangue di un innocente, com’era Gesù. “Se la vedano fra di loro, Roma non c’entra, non vuole immischiarsi in queste beghe tra sette religiose”.

La politica di Roma era questa: ottenere obbedienza alle leggi romane, sudditanza ma lasciare che i popoli sottomessi seguissero  la loro religione, adorassero i loro dei. Come poteva l’Impero Romano valutare e giudicare? I giudei erano particolarmente riottosi, ribelli. Nel loro orgoglio di essere il popolo eletto volevano essere riconosciuti come gli adoratori del vero Dio. Appunto per questo Pilato grida “Quid est veritas?” - dov’è la verità. Cos’è?  Echi forse di una scuola filosofica scettica. Pilato doveva essere un uomo colto, di origine italiana, famiglia dei Ponzi, nel Sannio. La storia dice che i Samaritani lo misero nei guai per cui fu convocato a Roma dall’imperatore. Poi di lui si perdono le tracce (Giuseppe Flavio). Gesù non risponde perché l’incalzare degli avvenimenti porta Pilato davanti ai Giudei a proclamare “io non trovo in lui nessun motivo di condanna” e - di seguito - al tragico cinico scambio con Barabba.

Ma la sua domanda rimane, rimbomba nella storia, nella coscienza degli uomini.

La verità inquieta, sollecita, muove filosofi  e pensatori alla sua ricerca. Ma nessuno sembra in grado di trovarla, perché la ragione umana è impotente  a raggiungere la verità.

Gli uomini raggiungono la verità o dicono di raggiungerla mediante la fede o mediante strumenti di affidamento e di appartenenza. La verità è quella della propria religione e della propria cultura, è quella tramandata di padre in figlio, non si discute. Così è in tutte le culture, cristiane e non, musulmane, ebraiche, buddiste o animiste. Si nasce in una cultura e si crede. Tutti attorno a te dicono e fanno così, ti insegnano così. Sei incanalato. Le conversioni sono un’eccezione e oggi nessuno le persegue più.

Se alziamo lo sguardo e guardiamo all’umanità vediamo dei grandi cluster (insiemi) culturali, tutti orientati a difendere la “propria verità”. Oggi non è proprio più così, in quanto la secolarizzazione ha prodotto indifferenza e agnosticismo. Apparteniamo, pratichiamo almeno in qualche occasione rituale, ma non ci interessa più. I veri fedeli sono una minoranza (in tutte le culture, più o meno) e la fede, la religione è ridotta a liturgia, rito, talvolta solo folclore. Non ci interessa più la verità perché tutti intenti a creare benessere nel migliore dei casi, sopravvivenza molto spesso.

Se allarghiamo la visuale sempre in cerca della verità possiamo trovare una soluzione filosofica facile, ma incongruente. Creiamo il cluster del relativismo nel quale affermare che la verità è relativa, non assoluta. Ma se affidiamo a questo concetto la soluzione del problema creiamo di nuovo un assoluto: quello della relatività assoluta della verità. Un bel pasticcio.

Non c’è soluzione razionale al problema. Dobbiamo arretrare e  riconoscere che la verità è inconoscibile. Ciascuno, nella sua cultura ha la sua. Ma se mette il becco fuori ne trova molte altre, difese con altrettanta vigoria.

Ai fini della coesistenza pacifica delle culture non c’è che il riconoscimento della reciproca legittimità delle fedi e delle religioni. L’integralismo sta proprio in questo: ritenere di possedere l’unica verità possibile  e negare che altri abbiano altre fedi e altre credenze.

Ma si crea un paradosso: se io penso e agisco in base alla mia fede, credo di essere nel giusto. Come posso solo “pensare” che esista un’altra fede, un’altra strada? Se così fosse, allora potrei sbagliarmi, potrei essere in errore. Ogni credo presuppone un atto di fede “assoluto”, cieco. Un bel guaio.

Da qui all’intolleranza, alla guerra di religione, al fanatismo il passo è breve.

L’uomo è sdoppiato: se si affida alla ragione non ha scampo, nessun approdo realistico a qualsiasi tipo di verità metafisica. Se si affida alla fede è una strada cieca, appunto di affidamento. Non discute, non si confronta, non mette in dubbio.

Eppure il dubbio è il motore della ricerca della verità.

La soluzione del dilemma sembra duplice:  a livello teorico e a livello pratico, morale.

A livello teorico l’uomo deve continuare  a indagare. Il suo compito-obbiettivo è quello di esplorare, ricercare. Dall’inizio della sua specie l’homo sapiens ha prodotto ricerca filosofica e  non può fermarsi. Come Ulisse di fronte all’Oceano al di là delle colonne d’Ercole.

A livello pratico ancora una volta Kant, il grande illuminista, ci sostiene. Le morali sono molteplici ma l’imperativo categorico è “non fare danno”. “Considera l’uomo sempre come fine e non come mezzo” e “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto  a te”.

Se l’uomo avesse da sempre seguito queste linee guida di comportamento avremmo evitato stragi, guerre e intolleranze.

Purtroppo non è stato così e ancora oggi non lo è.

Amoproust, 30 marzo 2017.


domenica 26 marzo 2017

religione e teatralità

Religione e teatralità

Milano ha celebrato la sua giornata con papa Francesco, giornata di commoventi incontri e soprattutto di grandi scenografie. A Monza per la celebrazione liturgica della Messa si è dato vita a un palcoscenico di una grandiosità mai vista e a San Siro, per l’incontro con i cresimandi le coreografiche create dai ragazzi degli oratori non hanno avuto nulla da invidiare alle inaugurazione delle Olimpiadi (dati i mezzi a disposizione!). Il dialogo di papa Francesco con i ragazzi è stato commovente e ricco di inflessioni pedagogiche.

Questo papa per la sua predicazione, la rivoluzione introdotta nella Chiesa, la sua attenzione ai poveri e agli ultimi, la sua predilezione per la parola “misericordia”, merita rispetto e attenzione anche da parte del mondo laico. E’ rimasta quasi l’unica voce in Europa a parlare di unità e di solidarietà e solo per questo si profila come un grande, un gigante della storia.

Ma mi pongo un problema. Ce l’ho dentro, lo sento e devo dirlo. Fino  a che punto la predicazione evangelica della povertà e dell’umiltà, la scelta di un profilo modesto da parte di Francesco stesso (la rinuncia all’appartamento papale, per esempio, i pasti in comune a Santa Marta) si concilia con queste manifestazioni gigantesche, scenografie luccicanti, folle oceaniche esultanti e osannanti? Gesù è entrato in Gerusalemme a cavallo di un asinello e vi è entrato per andare al macello. Non è che mi auguri questo per il papa, s’intende, ma pongo un confronto.

Lo vuole Lui o glielo impongono?

Certamente la predicazione del messaggio vuole la forza del mezzo. Ma oggi i mezzi di annuncio della Parola sono molteplici e non presuppongono la presenza fisica. Si arriva ovunque nel globo con i media moderni. Mi domando anche: è umano chiedere a un anziano di 81 anni queste performances micidiali solo per accontentare il feticismo delle folle? Io dico di no. E’ meglio che questo Papa viva a lungo e continui nella sua riforma della Chiesa che è tutt’altro che compiuta. Anzi di strada verso la modernizzazione (che è il contrario della mondanità) e verso l’autenticità della coerenza ce n’è molta da fare. Vita lunga a Francesco.

La spettacolarizzazione dell’annuncio è iniziata con papa Wojtyla, incessante viaggiatore per il vangelo ed è proseguita in sordina con Papa Ratzinger. Prima non esisteva: Pio XII non è uscito quasi mai dal Vaticano, Paolo VI ha fatto viaggi simbolici, in Terrasanta per esempio. Ma le folle oceaniche sono state volute da papa Giovanni Paolo II, che proponeva se stesso, la Sua persona come testimone della Fede. Tutto questo è servito a espandere l’Evangelo nel mondo ? Ho i miei dubbi: la civiltà si è sempre più secolarizzata, se una religione ha acquisito fedeli questa è l’Islam.

Non vogliatemene. Ma è semplice. Perché l’Islam nei suoi fedeli di base ha manifestato coerenza. I precetti dell’Islam sono semplici: Ramadam, la preghiera rituale, l’elemosina, la visita a La Mecca se puoi… e i musulmani sono osservanti più dei cristiani. E’ una constatazione.

In folla andiamo ad applaudire il papa, ma Messa ci va una minoranza esigua, nessuno più osserva digiuni e quaresime, prime comunioni e cresime sono occasioni mondane di dimostrazione del benessere della famiglia, la ricchezza è una meta, la povertà una condanna, i sacramenti sono dimenticati. Effetto della secolarizzazione certo ma anche, non diciamo di no, disaffezione e riduzione della religione a qualcosa di rituale, di esteriore. Sinceramente il popolo cristiano non crede più, recita il Credo senza sapere ciò che dice.

Mi direte: è vero ma la sostanza del Cristianesimo è un’altra: è l’osservanza del vangelo, dei precetti della Carità, delle opere di misericordia. D’accordo ma è proprio questo che sta “gridando” Francesco con tutta la sua forza: la Chiesa come apparato potrà anche morire, sparire ma il messaggio di pace  e di solidarietà del Vangelo deve rimanere scolpito nella coscienza degli uomini.
Questo è il suo messaggio. Diretto  a tutti, cristiani e non.

Io credo che papa Francesco viva con molto fastidio ciò che il uso ruolo e il “cerimoniale codificato” gli impongono. Già il Papato saggiamente  ha rinunciato alla Tiara, alla sedia gestatoria, ha introdotto nella liturgia le lingue nazionali. Mentre papa Ratzinger amava portare il camauro (antiquatissimo copricapo) e le scarpette rosse, Papa Francesco indossa le gesuitiche scarpe nere, non porta mantelle rosse, si limita alla veste talare bianca che lo rende riconoscibile e basta. Sono simboli, scelte però significative che indicano una lontananza psicologica da orpelli e sovrastrutture, da “cose” indicative di una sovranità terrena da cui si tiene distante.

Per questo vedo una contraddizione tra la sua presenza e imponenti scenografie da “potente” del mondo. Lasciamole a Kim on-Jung , alla nomenclatura ex sovietica e trumpista, a Hollywood e ai premi Oscar.  Chi le ha progettate e costruite ha manifestato una mentalità “divistica” impropria. Uno che si chiama Francesco ama i suoi fedeli ma non credo che ami essere celebrato come un divo. E’ certamente riconoscente alla manifestazione d’affetto ma ciò che lui desidera è il dialogo e la vicinanza. 

Lo dice lui stesso che Dio è uno solo. Uno!


Amoproust, 26 marzo 2017.

mercoledì 22 marzo 2017

Rockefeller

E’ morto David Rockefeller

E’ un notizia? "No", perché migliaia di uomini muoiono ogni giorno sul pianeta, molti in condizioni disumane per guerre, epidemie, carestie. I più fortunati nel proprio letto assistiti dai familiari. La morte è la grande democratica uguagliatrice, nessuno sfugge.  Ma anche "sì": Rockefeller è uno di quegli uomini che con la sua famiglia ha fatto la storia economica e finanziaria del mondo. Non uno qualsiasi, insomma.

Di fronte alla ricchezza spropositata posseduta da pochi (e Rockefeller era tra questi) si rimane basiti. Viene spontaneo chiedersi: e se tale ricchezza fosse distribuita? La risposta è ambigua. Forse andrebbe inutilmente dispersa, forse pochi ne saprebbero fare buon uso. Ma che uso ne hanno fatto i Rockefeller?
Si parla di loro come munifici mecenati ma anche come spietati speculatori e sostenitori dei Paradisi fiscali. Forse se non avessero speculato, non avrebbero potuto essere munifici.

In linea di principio legalmente il diritto alla proprietà privata autorizza al possesso infinito di beni. In un mondo globalizzato dove la disuguaglianza planetaria si svela nella sua tragica dimensione,  la proprietà privata “assoluta” cioè libera da vincoli sociali appare come una grave ingiustizia, una prevaricazione, uno sberleffo alla povertà dei molti. Che occorra fare qualcosa, intervenire, limitare è indubbio. Ma come?

Ponendo alcuni paletti “etici” che nulla hanno a che fare con l’esproprio e il comunismo. 

Il primo paletto o principio etico è la ricchezza utile: cioè la ricchezza che viene investita per creare altra ricchezza, per dare lavoro e prosperità alla comunità. Il ricco che si fa imprenditore rischiando e ottenendo il giusto profitto. Non c’è scampo a questa regola.

Il secondo paletto è la moderazione: l’accumulo di ricchezza oltre un certo limite ha qualcosa di immorale. La ricchezza spropositata (l’icona di Paperon de’ Paperoni), talvolta anche esibita e sfrontata non si ottiene di solito con un comportamento morale. Ma attraverso la sopraffazione, l’evasione, la corruzione, come nella storia è successo con certi dittatori o sultani o semplicemente capitalisti. Questa ricchezza ingiustamente accumulata va condannata e repressa. Gli Stati democratici hanno diritto di chiedere trasparenza e certezza del diritto. La proprietà non può essere un abuso.

Un terzo paletto (sul quale molti non saranno d’accordo ma che per me è sacrosanto) è l’indebita gratuità. Ossia il possesso della ricchezza ereditato senza alcun merito o impegno personale. Non parlo della giusta eredità della normale ricchezza in beni mobili e immobili che passa da padre a figlio e che costituisce l’asse patrimoniale della famiglia. Parlo delle cospicue immense eredità  ricevute in dote e sulle quali la comunità ha diritto di intervenire chiedendo una contribuzione elevata in termini successori. La comunità ha il diritto-dovere di distribuire la ricchezza e la leva fiscale è una modalità per togliere a chi ha troppo e dare a chi nulla possiede. Nessun esproprio ma un normale buonsenso: “Ti lascio ciò che può servirti per vivere agiatamente molti anni e investire, ma ti tolgo ciò che è superfluo, in sovrappiù, perché devo tutelare i più deboli”.

L’occidente borghese, dalla Rivoluzione francese in poi ha costruito la sacralità della proprietà privata, intoccabile. Il moderno welfare non può tollerare disparità immense. Se il mondo capitalista vuol sopravvivere deve fare i conti con un nuovo concetto di proprietà. Non un recinto chiuso inaccessibile agli altri, ma una dotazione di beni messi in comune per il benessere collettivo.


Amoproust, 22 marzo 2017

sabato 11 marzo 2017

Cupio dissolvi

Un pensierino  mite mentre al Lingotto si svolge l’ennesima fiera delle vanità. Si progetta il futuro ma è un futuro dejà vu, sostanzialmente un passato. I tempi finiscono per tutti, oggi più in fretta di ieri. Nessuno è eterno e nessuno può resistere alla forza demolitrice del  tempo che passa. Dal  40% di Renzi alle europee del 2014 sembra passato un secolo. Un patrimonio elettorale e di consenso è stato sperperato, disperso. Il PD non è più lo stesso, sfiancato da polemiche e correnti, smarrito, senza ideali e senza obbiettivi concreti. Una scissione stupida e inutile lo ha indebolito, il Congresso non lo farà risorgere.

Soprattutto quando qualcuno non capisce che il suo tempo è finito, per errori, ambizioni, incapacità gestionale, fiducia smodata in se stessi. Non ci sarà un Renzi 2 dopo la prima era Renzi, anche se Renzi vincerà il congresso. Il buon senso gli suggeriva di ritirarsi, lasciare. Nessuno è necessario, anzi in qualche caso può essere nocivo.  Quali previsioni possiamo fare?

Scenario 1. Renzi vince il congresso, ridiventa segretario del PD. Come tale concorre alla leadership del paese. Non sappiamo quale legge elettorale ci sarà, ma con ogni probabilità un proporzionale corretto. Ma per governare Renzi (nella ipotesi che sia il primo partito, non del tutto sicura) dovrà fare alleanze. Con chi? Con una parte del CD. Probabile. Inciucino e niente di nuovo. Tutto come prima. Dejà vu.

Scenario 2. Orlando riesce a catalizzare le forze contrarie a Renzi nel PD e a imporsi come segretario. Comincia un’era nuova, ma il PD ne esce indebolito. Quanti voti potrà avere un partito così rinnovato? Troppe delusioni, forti defezioni, gli esuli non rientrano, il Centro sinistra è a brandelli. Alla competizione elettorale con un centro sinistra a brandelli e una centro destra inesistente (a proposito ce lo vedete un Berlusconi al potere; altro che dejà vu!) il M5S stravince. Sapranno governare e con chi si alleeranno? Con Salvini? Con la sinistra? Nubi fosche sull’Italia e sull’Europa.

Un terzo scenario sarebbe possibile. Che le forze politiche si alleino, portate dal buon senso a fare una legge  elettorale, tale da garantire rappresentanza e governabilità a lungo.  Che prevalga una volta su tutte il senso del bene del Paese. Chi vince governi e porti a soluzione problemi ormai incancreniti. Non è successo finora, non lo si farà sull’onda dei personalismi di partito. 

Per salvare l’Italia occorre solo buon senso. Ma non se ne vede in giro: merce rara. Il cupio dissolvi domina ovunque, coscientemente o no. 

L’uomo forte trama nell’ombra? Tutto può essere, anche la fine della democrazia.


Amoproust, 11 marzo 2017.

lunedì 27 febbraio 2017

Fine vita

Il dibattito sul fine vita in Italia ha qualcosa di surreale e disumano. Disumano perché parlamentari in piena salute e gente che non conosce la pienezza e lo stravolgimento del dolore discetta di “sacralità della vita” e di “vita non nelle nostre mani” mentre uomini e donne come loro soffrono o sono in stato di incoscienza forzata da anni.

Sia ben chiaro: la vita è un dono che non va sprecato, ma bisogna chiedersi cos’è la vita. La vita è coscienza e relazione, è capacità di esprimere se stessi, è pensiero e creatività. Tutto ciò non esclude la sofferenza, che tutti abbiamo incontrato e con la quale abbiamo lottato in innumerevoli occasioni. Ma la sofferenza ha un senso quando può essere superata, quando non diventa invasiva e toglie alla vita ogni parvenza di qualità e di autonomia. Quando sostituisce la vita e segna un cammino che prevede solo devastazione e orrore, non ha senso.

Allora scatta il diritto per ciascuno di noi di dire di no. E se le condizioni mentali e fisiche lo impediscono esiste il diritto di avere previsto e deliberato un no in anticipo, con un testamento che prevede l’interruzione delle cure inutili e del mantenimento in vita artificiale. Per questo ci vuole una legge che in Italia non c’è e che è ora che ci sia, al più presto.

In nome della vita si oppongono forze che si appellano alla religione cristiana, forze clericali che pensano che il diritto di togliere la vita spetti solo a Dio e che se Dio mantiene ancora un cuore che batte e un corpo vivo anche se esanime e del tutto incosciente, non sia lecito staccare la spina.

Modo di pensare legittimo all’interno di una concezione religiosa che nessuno pensa di abbattere. Vale per chi vi appartiene e vi crede. Ma non per gli altri, per i laici e per tutti coloro che preferiscono, anche se credenti, pensare che non sia umano mantenere la sofferenza e l’incoscienza come unica manifestazione di vita.

Il testamento biologico non obbliga nessuno a farlo. Nessuno obbliga a togliere nutrizione artificiale e cure palliative se non lo si chiede espressamente. Questo sia chiaro. Come nessuno obbliga una donna ad abortire o una coppia a divorziare se non lo desiderano.

Fatti salvi i diritti dei “fedeli” una legge è necessaria. Sul testamento biologico. Io, per esempio, non ho nessuna intenzione di stare mesi o anni in coma assistito o sofferente in un letto senza alcuna speranza di guarigione. Sento il diritto di chiedere di non essere mantenuto in vita artificialmente e di morire in pace naturalmente senza alcuna forma di accanimento terapeutico. E lo voglio dire prima, quando la mia volontà e capacità di esprimermi è intatta. E nessun medico potrà porre obiezione.

Nessuno può contestare questo diritto. Chi si oppone a una legge che permetta tutto questo a chi lo desidera, è un barbaro disumano, un fautore della tortura e della morte vera, che è un corpo privo della gioia di muoversi e relazionarsi con gli altri.


Amoproust, 27 febbraio 2017

domenica 19 febbraio 2017

la sciagura

La  sciagura

La potenziale scissione del PD è una sciagura nazionale ed europea. Perché si tratta del più importante partito della sinistra in Italia e  in Europa. L’unico a governare.

Una sciagura per l’instabilità che crea e le conseguenze politiche oggi non valutabili a freddo. In un momento storico in cui le destre rimontano e i cosiddetti populismi (io preferisco parlare di forze sostanzialmente anarchiche, antisistema senza un preciso orientamento politico costruttivo) crescono ogni giorno.

E i problemi nazionali e internazionali sono lì, a marcire senza soluzione, giorno dopo giorno: il lavoro, la povertà, i migranti, le disuguaglianze, il debito pubblico, la corruzione.

E’ un’azione da irresponsabili. Non importa di chi è la colpa. Può essere attribuita a Renzi o ai suoi oppositori (frammentati come non mai) ma di fatto è una forza che si disfa lasciando colpevolmente il campo agli avversari. Un esercito in rotta o, meglio, di disertori.

Parole dure. Mentre scrivo queste brevi righe con il cuore pieno di amarezza, si sta consumando l’Assemblea del PD. Comunque vada, un sogno a sinistra si è infranto sulle secche delle periodiche scissioni e divisioni che hanno oscurato sempre il sol dell’avvenire.

Il futuro che si apre è oscuro. La buona politica non regge di fronte ai personalismi. Non mi auguro nulla se non, egoisticamente per me, una vecchiaia serena. Sarà dura.

I giovani facciano loro. Guardino questo italico panorama desolato e ne traggano le conseguenze.


Amoproust, 19 febbraio 2017

sabato 11 febbraio 2017

intellettuali e competenti

Intellettuali e competenti.

Periodicamente compare all’ordine del giorno un attacco alla stampa oppure un’intollerante alzata di spalle verso gli intellettuali.

La libertà di stampa è sempre stata osteggiata dai regimi, perché l’opposizione vive grazie alla carta stampata e, oggi, anche alle Tv e alla rete.  I regimi quindi cercano di censurare, tagliare e imprigionare chi parla troppo liberamente e fuori dagli schemi imposti da chi governa, legittimamente o, più spesso, in modo illegittimo.

Capita anche però che la stampa (i media in generale) venga attaccata da forze politiche che, al governo o all’opposizione, si sentono oggetto di critica, di scherno o di satira. E’ l’intolleranza mentre si vorrebbe sempre essere elogiati e riveriti. La democrazia invece vuole il diritto di critica e di satira, fino al limite (non superabile) dell’ingiuria e della calunnia. I partiti politici o i movimenti della società civile non possono sottrarsi alla pubblica opinione che si esprime attraverso i media e devono tollerare il vaglio dei loro comportamenti. Ciò comporta qualche rischio, ma è inevitabile.

Diverso in parte è il discorso sugli intellettuali. Occorre intenderci su chi si cela dietro questa parola e chi può arrogarsi il diritto di chiamarsi “intellettuale”. Non raramente rozzi uomini politici hanno mostrato disprezzo verso questa categoria: il “culturame” di scelbiana memoria e l’espressione recentemente usata “con la cultura non si mangia” ne sono la spia.

Intellettuale è chi pensa, chi ha come arma la cultura o la competenza. Intellettuale è chi sottopone al vaglio della ragione le azioni o le intenzioni degli uomini, dei partiti o dei movimenti. L’intellettuale dovrebbe essere “privo di pregiudizi” (cosa difficilissima per la natura stessa dell’uomo che tende a schierarsi). Intellettuale è l’uomo di cultura intendendo non solo chi ha studiato e letto molti libri, ma chi valuta con occhio critico la cronaca e la storia.  L’intellettuale ha vita difficile sotto i regimi  e le dittature in genere. Non è necessario fare citazioni.

Poi c’è la competenza. E questa si articola per materie. Il filosofo non ha competenza in scienza delle costruzioni, come l’ingegnere non ha competenza in questioni di legge. Quindi l’intellettuale farà bene a non pronunciarsi in questioni in cui non è competente, oppure dovrà limitarsi a opinioni di indirizzo, lecite per tutti coloro che hanno l’età della ragione. Anche se l’intellettuale non ha una laurea in geologia, potrà sempre sostenere che costruire laddove c’è rischio sismico o idrogeologico è una scemenza, come lo può fare anche un ragazzino di dodici anni.

L’uomo politico che siede in Parlamento o nel Governo del paese non può essere competente in tutto. Ma in agire politico sì, in amministrazione quel tanto che occorre per costruire regole, leggi e provvedimenti equi. Potrà servirsi di consulenti, dovrà costruirsi una squadra di esperti che lo aiutino o, altrimenti, si esporrà a incidenti o farà guai.

Sotto gli occhi di tutti sono due esempi contemporanei clamorosi anche se diversissimi per luogo e potere: Trump e Raggi.

Il nuovo Presidente degli USA sta agendo impulsivamente (senza competenza) nel tentativo di realizzare a spron battuto le promesse fatte in campagna elettorale per ringraziarsi i suoi elettori. Quindi rischia grosso, infrangendo leggi federali e mettendosi in cattiva luce presso alleati storici e l’opinione pubblica mondiale. Agisce cioè da “dittatore” immune da contropoteri che in una democrazia compiuta esistono e sono presenti. Rischia grosso, rischia l’impopolarità sui due versanti dei suoi e dell’opposizione (i suoi perché non vedono realizzate le sue proposte e dell’opposizione per ovvi motivi). Quindi o si trasforma in dittatore vero (ma si può negli USA?) o rientra nei ranghi di una politica “possibile”.

Il sindaco Raggi (non mi piace sindaca, è un neologismo orribile nato in omaggio a una moda di rispetto del gender) è meno importante sul piano politico internazionale,  ma è vitale per la politica italiana, come sindaco della capitale Roma, caput mundi. Ora dopo sette mesi dalla sua elezione è più il tempo passato a creare posti in giunta e a disfarli, a difendersi da accuse, a gestire il suo rapporto con Grillo e gli altri del M5S che a governare, a gestire una città profondamente ferita (non per colpa sua, s’intende), in crisi, senza risorse, malata, con corruzione diffusa. Ne è capace? Ha qualche competenza specifica? Forse una laurea in legge non basta, occorre una squadra veramente competente e una risolutezza che il personaggio non mostra: o si è succubi di Grillo e della Casaleggio associati o non si fa nulla. Raggi si è circondata da uomini controversi o addirittura già sotto il mirino della magistratura, uno in galera. Ma chi ha eletto Grillo? Il sindaco risponde solo ai suoi elettori e alla città. Altrimenti si dimette.

A questi due esempi se ne potrebbero aggiungere molti, contemporanei o meno. Ma non è il caso. Chi vuol intendere, ha inteso.

Amoproust, 11 febbraio 2017.