L’inghippo
Ha un bel dire la
Boschi che chi voterà”no” al referendum istituzionale si troverà in compagnia
di Casa Pound, ma non solo. Anche di Brunetta, Salvini e tanti altri. Una
compagnia sgradevole quanto mai ma che
indica l’indignazione e il malcontento sollevato, per diverse ragioni, dalla
riforma costituzionale.
Ma io mi domando:
è sufficiente questa considerazione per votare ”sì”? Un sincero democratico, assolutamente
alieno a compagnie destrorse e populiste
dovrà per forza votare “sì” al referendum di ottobre anche se la riforma non
gli piace?
Diciamo subito che
con il “no” la compagnia non è solo quella di Casa Pound, di Brunetta e di
Salvini, nonché dei cinque stelle, ma anche di egregi costituzionalisti come
Rodotà, Zagrebelsky e Onida nonché di tanti cittadini democratici preoccupati
per una riforma zoppa e pericolosa.
Se la riforma non mi
piace devo votare “sì” solo per compiacere Renzi e il suo magico circolo? Devo
badare alla compagnia o non piuttosto al merito del quesito posto che –
sostanzialmente - riguarda la riforma del Senato? Un Senato come quello
concepito da non so quale mente contorta che ha consigliato Renzi è un aborto,
una cosa senza senso. Perché devono salire al più alto consesso dello Stato sindaci
e consiglieri comunali, per quali meriti e per far che? Pura rappresentanza o
un compito di controllo e di supervisione?
Per me il Senato
ha sempre detto, dall’antica Roma, assemblea dei saggi e dei seniores, appunto
e mi fa specie vederlo ridotto ad assemblea di poveracci, riuniti quasi per
caso, ridotti all’obbedienza dell’esecutivo.
Non solo, ma il
gran Matteo, cui la furbizia non manca, ha legato la vittoria del sì alla sua
permanenza a palazzo Chigi, quasi evocando “dopo di me il diluvio”. In effetti
lo sfascio prevedibile in tal caso del PD, il già esistente sfascio della
destra, fa intravedere un post Renzi alquanto precario, ribollente di istinti
predatori, nella fattispecie in mano ai cinque stelle. Per quanto nella
congerie di questa forza politica esistano personaggi di buona levatura
politica e morale, il movimento in sé fa temere, se al governo del Paese, più
disastri che provvedimenti salvifici, a cominciare dai goffi tentativi di
uscire dall’Europa. No, i 5stelle non sono ancora una forza di governo, un
populismo come il loro o nega se stesso o impone un regime autoritario. Lo
insegna la storia.
Il che fare è
quindi amletico: o votare “no” per seguire la propria coscienza e il proprio pensare
o turarsi il naso e votare “sì” per evitare disastri peggiori alla nostra
povera Italietta.
Abbiamo ancora 4
mesi per pensarci. Che qualcuno da lassù ci ispiri e ci aiuti.
Amoproust, 10
maggio 2016