E’ morto David Rockefeller
E’ un notizia? "No", perché migliaia
di uomini muoiono ogni giorno sul pianeta, molti in condizioni disumane per
guerre, epidemie, carestie. I più fortunati nel proprio letto assistiti dai
familiari. La morte è la grande democratica uguagliatrice, nessuno sfugge. Ma anche "sì": Rockefeller è uno di quegli
uomini che con la sua famiglia ha fatto la storia economica e finanziaria del
mondo. Non uno qualsiasi, insomma.
Di fronte alla ricchezza
spropositata posseduta da pochi (e Rockefeller era tra questi) si rimane
basiti. Viene spontaneo chiedersi: e se tale ricchezza fosse distribuita? La
risposta è ambigua. Forse andrebbe inutilmente dispersa, forse pochi ne
saprebbero fare buon uso. Ma che uso ne hanno fatto i Rockefeller?
Si parla di loro come munifici
mecenati ma anche come spietati speculatori e sostenitori dei Paradisi fiscali.
Forse se non avessero speculato, non avrebbero potuto essere munifici.
In linea di principio legalmente il
diritto alla proprietà privata autorizza al possesso infinito di beni. In un
mondo globalizzato dove la disuguaglianza planetaria si svela nella sua tragica
dimensione, la proprietà privata “assoluta” cioè libera da vincoli sociali
appare come una grave ingiustizia, una prevaricazione, uno sberleffo alla
povertà dei molti. Che occorra fare qualcosa, intervenire, limitare è indubbio.
Ma come?
Ponendo alcuni paletti “etici” che
nulla hanno a che fare con l’esproprio e il comunismo.
Il primo paletto o principio etico
è la ricchezza utile: cioè la
ricchezza che viene investita per creare altra ricchezza, per dare lavoro e
prosperità alla comunità. Il ricco che si fa imprenditore rischiando e
ottenendo il giusto profitto. Non c’è scampo a questa regola.
Il secondo paletto è la moderazione: l’accumulo di ricchezza
oltre un certo limite ha qualcosa di immorale. La ricchezza spropositata
(l’icona di Paperon de’ Paperoni), talvolta anche esibita e sfrontata non si
ottiene di solito con un comportamento morale. Ma attraverso la sopraffazione,
l’evasione, la corruzione, come nella storia è successo con certi dittatori o
sultani o semplicemente capitalisti. Questa ricchezza ingiustamente accumulata
va condannata e repressa. Gli Stati democratici hanno diritto di chiedere
trasparenza e certezza del diritto. La proprietà non può essere un abuso.
Un terzo paletto (sul quale molti
non saranno d’accordo ma che per me è sacrosanto) è l’indebita gratuità. Ossia il possesso della ricchezza ereditato
senza alcun merito o impegno personale. Non parlo della giusta eredità della
normale ricchezza in beni mobili e immobili che passa da padre a figlio e che
costituisce l’asse patrimoniale della famiglia. Parlo delle cospicue immense
eredità ricevute in dote e sulle quali
la comunità ha diritto di intervenire chiedendo una contribuzione elevata in
termini successori. La comunità ha il diritto-dovere di distribuire la
ricchezza e la leva fiscale è una modalità per togliere a chi ha troppo e dare
a chi nulla possiede. Nessun esproprio ma un normale buonsenso: “Ti lascio ciò
che può servirti per vivere agiatamente molti anni e investire, ma ti tolgo ciò
che è superfluo, in sovrappiù, perché devo tutelare i più deboli”.
L’occidente borghese, dalla
Rivoluzione francese in poi ha costruito la sacralità della proprietà privata,
intoccabile. Il moderno welfare non può tollerare disparità immense. Se il
mondo capitalista vuol sopravvivere deve fare i conti con un nuovo concetto di
proprietà. Non un recinto chiuso inaccessibile agli altri, ma una dotazione di
beni messi in comune per il benessere collettivo.
Amoproust, 22 marzo 2017
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