Trump ha vinto
Le elezioni presidenziali in
America.
Trump ha vinto. Non nei numeri perché in termini di popolazione
Hillary ha avuto più voti, ma per il perverso sistema americano per cui, negli
Stati, chi vince anche per un solo voto, si prende tutti i grandi elettori. Una
vittoria politica, di sistema, che
dovrebbe essere amara e far riflettere un
uomo che si definisce antisistema, anti establishement. Non ha il consenso popolare se
non per il 50%.
Ma intendiamoci! Mai vedremo fare ragionamenti di questo tipo.
In America il sistema è sacro anche per chi è political incorrect. Trump si è
affrettato a fare dichiarazioni concilianti,
dopo una campagna elettorale “armata”, corredata di promesse “rivoluzionarie”
oltre che di insulti e diffamazioni.
L’uomo Trump è imprevedibile e ciò
continua a renderlo pericoloso e disponibile a qualsiasi avventura purché
nella direzione voluta dalla middle class dei wasp, i maschi bianchi protestanti
e lontani da ogni vera “intellettualità”. Il culturame (direbbe Scelba) che questi ultras americani disprezzano in
nome del vecchio sogno americano maschio, bianco e puritano. Quella razza
bianca americana così viva e forte negli Stati rurali e discendenti nostalgici
dell’individualismo e del farsi giustizia
da sé, intollerante di regole restrittive, viva il Far West.
Ha vinto lo
spirito dei John Waine e dei Clint Eastwood. Senso di predominio, paura del
diverso, uso della forza delle armi, negazione della democrazia come dialogo, steccati,
disprezzo della cultura, supremazia sulla donna: queste le caratteristiche di
Trump e del suo popolo. L’ho già detto e lo sanno tutti.
Cos’è in gioco per cui il mondo è
cambiato dopo Obama?
E’ in gioco l’ambiente, Trump farà carta straccia degli
accordi di Parigi, troppo frettolosamente esaltati come la soluzione del
problema. E’ in gioco la pace: Trump ama l’uso della forza delle armi e questa
logica ha conseguenze nefaste, soprattutto se, all’orizzonte, si staglia una perversa
e inedita alleanza con la Russia di Putin.
E’ in gioco la pace intrarazziale,
che potrebbe, se le minoranze etniche fossero di nuovo ridotte all’emarginazione,
scatenare una vera guerra civile.
E’ in gioco la relazione pacifica con l’Europa
che vede di fronte a sé non più un sicuro alleato, ma un interlocutore difficile
e pronto all’appoggio di forze disgregatrici. Non per nulla hanno esultato Orban,
Erdogan, Le Pen e Salvini, nonché, ahimé, il mi(se)rabile Grillo. Pronto a sfruttare qualsiasi vaffa.
Ma l’America non è compatta dietro
Trump. Forse è quello che lui vorrebbe e che si è augurato nel discorso
postelettorale.
Il popolo americano è di fatto spaccato in due: da una parte la
minoranza dei maschi bianchi conservatori e una middle class dimenticata e impoverita cui si sono aggregate minoranze
rabbiose per la loro condizione sociale e le lobbies delle armi e del big oil. Questa
minoranza oggi ha il petto gonfio per la vittoria, e, forse, sotto sotto risogna
la segregazione e l’apartheid (che bello avere la moglie ai fornelli e i
domestici negri in giardino e nella casa a tenere in ordine a costo quasi
zero!). Dall’altra la minoranza colta dell’intellighenzia delle Università e
della cultura cui è pronto ad aggregarsi l’establishement economico finanziario che non
alcun interesse a vedere il paese spaccato in due e impoverito.
Questa minoranza, se Trump
dovesse procedere come un carro armato nelle sue controriforme (in campo
sanitario, ambientale, pacifista) esprimerà il dissenso nei modi più forti
possibile. Aspettiamoci una stagione di manifestazioni, scontri, marce degli
ecologisti, dei movimenti delle donne e delle minoranze etniche.
Trump non
potrà spegnere l’incendio del dissenso con i sistemi di Erdogan (anche se forse
gli piacerebbe) perché semplicemente gli Stati Uniti non sono la Turchia, ma lo
Stato democratico più longevo del pianeta. Non potrà in alcun modo.
Per questo, come ha detto Obama con un intelligente retropensiero “il
sole sorgerà ancora”. Molto presto. Spesso la vittoria degli ultra conservatori
antisistema serve ad aprire gli occhi ad una nazione intera, forse al mondo
occidentale intero.
La speranza non è morta.
Amoproust 11 novembre 2016
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