Marinostory
Le vicende del sindaco Marino,
credo proprio per le loro caratteristiche folcloristiche e narrative (da
storytelling) hanno interessato gli italiani più di qualsiasi altra vicenda
politica.
Ora in conclusione (anche se il
simpaticone ha fatto intravedere un posticipo) cosa dire?
Prima di tutto occorre capire
perché Marino abbia voluto fare il sindaco di Roma. Genovese di origine,
chirurgo di professione (e sembra anche bravo), senatore per due legislature,
membro della commissione sulla sanità (e qui c’azzecca), che cavolo gli è
venuto in mente di candidarsi per le primarie a Roma? Un paracadutato. E il
primo errore è quello del PD di averlo permesso. I paracadutati sono sempre
delle mine vaganti. Perché per fare bene il Sindaco occorre conoscere il
territorio e non solo entrare trionfalmente in Campidoglio in bici per
manifestare la propria anima ecologica.
Credo che di Roma Marino conoscesse
come tutti il Colosseo e il Vaticano, nonché i sacri palazzi del potere ma
delle dinamiche sociali e del fondo corrotto delle municipalizzate e compagnia,
un bel niente.
Si candida, vince, forse solo perché il fronte avverso è
spaccato e la gente di tipi come Alemanno non ne può più e si trova un’enorme
gatta da pelare. Che dico “gatta”? Tigre dovrei dire o pantera. Non sono addentro alle segrete cose ma credo
che il buon Marino ce l’abbia messa tutta per fare pulizia quando gli scoppia
in mano il caso Carminati, Buzzi e company, cioè la delinquenza organizzata che
di fatto ha governato la città e ha fatto strame di ogni iniziativa pubblica.
Lui non c’entra anche se gli oppositori fanno di tutto per comprometterlo.
Qui casca l’asino: ossia Marino si
rivela un vero e proprio ingenuo se non un “tontolone” secondo la definizione
di Francesco Merlo su “La Repubblica”. Va in vacanza negli Stati Uniti quando a
Roma i problemi scottano e i Casamonica celebrano il loro potere funerario. Va
ancora negli Stati Uniti quando c’è il papa e sembra che faccia di tutto per
farsi vedere nei luoghi dove si presenta Francesco, per cui lo stesso è
costretto (probabilmente perché stimolato da mille domande) a dire che no, “lui
non l’ha proprio invitato, chiaro?” Dichiarazione che suona come una
sconfessione del sindaco della città santa, il Vescovo di Roma contro il
sindaco di Roma e con rabbia anche.
Non so se il Papa abbia fatto bene, avrà
avuto le sue ragioni, ma Marino aveva tutto il diritto di starsene negli Stati
Uniti anche se non invitato dal Papa perché invitato dall’Università in cui
aveva tenuto, per altro, una lectio magistralis e anche perché è un uomo libero.
E’ come se il Papa abbia fatto una
dichiarazione di “antipatia” contro il sindaco, cosa assai poco piacevole.
Il nostro ritorna e si rimette a
fare il sindaco. Ma si mette a fare cose sconsiderate, in un momento in cui
tutti gli avrebbero consigliato prudenza. Si mette a spendere con la carta di
credito del Comune per cene di rappresentanza che, sembra, tali non sono, ma
sono solo riunioni familiari. Ma che gli è venuto in mente? Gli ha dato di
volta il cervello? L’hanno consigliato male? Ha perso il contatto con la
realtà, si crede onnipotente?
Fa cose impensabili. Promette di
regalare i 20.000 euro spesi con la carta ai romani, ma l’illecito c’è stato,
se c’è stato. Così lui lo ammette e lo nega contemporaneamente: un rimborso da
pentitismo non è un regalo.
Poi, alla fine, abbandonato da
tutti e delegittimato dal PD si dimette con la curiosa clausola dei 20 giorni.
Marino non mi è mai stato
antipatico del tutto. Alle primarie di anni fa, Bersani Renzi e Marino, non l’ho
votato mentre molti mi spingevano a farlo come l’uomo nuovo… Perché non è un politico
ma un idealista pasticcione.
Il politico, ormai lo abbiamo capito, deve essere,
come dice Machiavelli, “volpe et lione”. Marino si è dato da fare contro la
corruzione a Roma ma probabilmente,
secondo me, l’hanno abilmente incastrato. Ma lui è veramente un alieno, un
inadatto totalmente a fare il sindaco, anzi il politico. Torni alla chirurgia che è la sua materia, il
suo campo.
Ennesima dimostrazione del
principio di Peter, per cui quando uno supera il suo massimo livello di
competenza, cade nel ridicolo dell’incompetenza.
Amoproust 09/10/2015
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