sabato 19 ottobre 2013

Ca' nisciuno è fesso



CA’ NISCIUNO È FESSO

Non c’è parte sociale o categoria o partito che abbia mostrato contentezza per il progetto di legge di stabilità partorito dal Governo. Pannicelli caldi. 
Dopo lo  strombazzamento per cui il governo doveva assolutamente stare in carica e ottenere la fiducia perché incombeva quest’obbligo importantissimo della legge di stabilità, ecco il topolino partorito dalla montagna.


Bisogna dirlo chiaramente: le larghe intese non possono generare altro. Le due parti contrapposte del sistema politico non possono che annullarsi a vicenda (veti incrociati si chiamano) e dar vita a iniziative pallide, prive di mordente, ben lontane dai bisogni reali del paese.


Il problema è che per risolvere i problemi servono risorse. Da anni le risorse in Italia vengono pescate nel lavoro. Tassazione sul lavoro e sulle imprese produttive. Mai nella rendita parassitaria e nel capitale. Mai.


Ora in questo bacino del lavoro e delle imprese siamo arrivati al fondo del barile. Non c’è più niente da raschiare. E contemporaneamente c’è un dieci per cento della popolazione che gode di privilegi incredibili: i benestanti, i più ricchi non sono (in quanto tali) toccati. Da qui la forbice progressiva tra un paese alla frutta, ridotto alla povertà e un paese ricco, sempre più ricco, indenne.


Occorre rovesciare il discorso, caro Letta. Ma nella compagnia cantante che ti accompagna non sarà mai possibile ottenere alcunché. Non con Brunetta, Alfano, le passionarie  più o meno pitonesse e i falsocattolici come Lupi e Formigoni.


In  Italia occorre - se si vuole far partire la crescita e realizzare un po’ di equità - ridurre le imposte sul lavoro e andare a pescare risorse nei patrimoni (perché  è tabù parlare di una patrimoniale? Anche se solo sui patrimoni alti?), nelle successioni, nei capitali all’estero e nelle sacche di evasione fiscale. Miliardi. E poi, nei Tg in TV ci sfiancano con conticini ossessivi sui due miliardi di qua e due miliardi di là… bricioline assurde rispetto alla prateria sconfinata dei giacimenti prosperi e privilegiati.


Prendiamo p.e. il discorso sulle successioni. Perché un capitale che passa da un morto (che l‘ha realizzato) a un erede che non ha fatto nulla, è un puro miracolato dalla fortuna, non deve essere soggetto a una forma di tassazione? Perché tutto al privato e nulla al pubblico? Fatte le debite eccezioni per i passaggi ereditari tra padre e figlio, fatti salvi limiti di soglia, la tassa sulla successione è un onere giusto, equo. Riconosce che la ricchezza ha una funzione sociale.


Insomma dobbiamo tornare al caro vecchio concetto (laico ma anche cattolicissimo) che la ricchezza è buona se serve a creare lavoro e dare prosperità alla collettività. La ricchezza privatizzata, usata solo per accumulare o fare sfoggio o dare soddisfazioni narcisistiche, non è equa, è un abuso.


Ditelo alla compagine berlusconiana che sta al governo e impedisce una benché minima tassazione sulla casa di tipo progressivo (alta sulle cose di lusso – bassa o nulla sulle case di modesta condizione). Ma chi possiede otto ville e un patrimonio sterminato e per di più è colpevole dichiarato e condannato di evasione fiscale, come fa a stare al governo di questo paese? Con questi bisogni? È una contraddizione, un paradosso. E finiamola con l’ipocrisia per cui ricchi signori si stracciano le vesti e citano la povertà che ormai raggiunge il 30% della popolazione italiana. Sono loro i colpevoli.
Insomma le larghe intese tra fautori di giustizia sociale e difensori dell’uso spregiudicato della proprietà privata non possono funzionare. Nemmeno con la benedizione di papà Napolitano.


Amoproust   19 ottobre 2013

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