mercoledì 6 febbraio 2013





Ulisse

Oggi niente politica. Finalmente respiriamo un po’. Meritiamoci una pausa.

Per diletto e approfondimento ho ripreso la lettura dell’Ulisse di Joyce. È la terza volta e qualcuno dice che “sono matto”. Certo il libro ha fama di essere illeggibile. Niente di più erroneo, se non per lettori superficiali.
Joyce è uno scrittore stupefacente e sorprendente. Oggetto di esegesi e interpretazioni ossessive durante i cent’anni quasi, di vita, l’Ulisse forse va preso per quello che è. Un capolavoro di ironia e di analisi dei percorsi della mente umana, nel suo quotidiano pensare e vedere le cose e analizzarle e percepirle e scoprirle. Questo è il famoso flusso di coscienza (stream of consciousness). Provate a metter insieme, in un giorno, ciò che pensate, vedete, sentite, percepite, i suoni, gli odori, le visioni, le illuminazioni, i sentimenti, gli choc, gli entusiasmi, le delusioni, i sogni, tutto insieme, senza artificiose distinzioni letterarie, anche senza una punteggiatura  e avrete l’Ulisse.
Certo, per comprendere a fondo tutto, proprio tutto, bisognerebbe essere pozzi di scienza, conoscere la storia d’Irlanda e d’Inghilterra, le Sacre Scritture, i classici, la mentalità ebraica e le sue costumanze, l’occultismo, le vie di Dublino… Joyce di questo se ne frega, problema vostro. Voi non siete lui.
Ma l’Ulisse non è solo questo. È anche l’uomo nella sua totalità: mente e corpo, amore e odio, religione e ateismo. L’antiodisseo come uomo comune che vive e viaggia nel mondo e incontra l’universo degli uomini e la storia.

Leggetelo. Solo alla terza volta lo gusterete appieno. Io vi trascrivo qui alcune chicche.

“La storia è un incubo da cui cerco di destarmi” (Stephen Dedalus)

L’amore (di Molly)

Campi di mare sottostante, linee marrone pallido nell’erba, città sepolte. Il mio cappotto era un cuscino per i capelli di lei, forficole nell’edera mi solleticano la mano sotto il collo, mi agiti tutta. Che meraviglia! Freddasoffice di unguenti la sua mano mi toccava, accarezzava: i suoi occhi su di me non si voltavano.
Giacevo rapito sopra di lei, le labbra piene tutte aperte, a baciare la sua bocca. Mmm. Dolcemente mi fece passare in bocca un pezzetto di torta ai semi di cumino calda e masticata. Polpa nauseante dalla sua bocca impastata agrodolce con la saliva. Gioia: l’ho mangiato: gioia. Giovane vita, le sue labbra mi porse imbronciate. Soffici, calde, appiccicose labbra gelatinose. Fiori erano i suoi occhi, prendimi, occhi desiderosi. Caddero sassolini. Lei rimase immobile. Protetta sotto le felci rise tutta calda e avviluppata. Mi misi con impeto su di lei, la baciai; occhi, le sue labbra, il suo collo teso, il battito, seni pieni di donna nella maglia di stoffa fine, capezzoli grandi dritti. Ardente la linguavo. Lei mi baciava. Ero baciato. Concedendosi completamente mi scompiscompigliava i capelli. Baciata, baciava me.


Il vegetarianesimo (ironia)

Vengono dal vegetariano. Soltanto verdurine e frutta. Non mangiarla la bistecca di manzo. Se lo fai gli occhi di quella mucca ti perseguiteranno per tutta l’eternità.
Dicono sia più salutare. Vento e acquoso però. Ho provato. Ti ci fa andare di corsa
tutto il giorno. Peggio che un’aringa affumicata. Sogni l’intera notte. Perché la
chiamano bistecca di noci quella cosa che m’hanno dato? Nociariani. Fruttariani.
Per darti l’impressione di star mangiando una lombata. Assurdo. Pure salata. La
cuociono nella soda. Ti fa stare accanto al lavandino tutta la notte.

Il tempo e il possesso

Una città intera che scompare, un’altra città intera che sorge, e poi scompare pure
quella: un’altra che sorge, e passa. Case, file di case, strade, miglia di
marciapiedi, mattoni accumulati, pietre. Passano in altre mani. Questo
proprietario, quello. Il padrone di casa non muore mai, dicono. Un altro entra al
suo posto quando arriva l’avviso di sfratto. Si comprano il locale con l’oro eppure
tutto l’oro continuano ad avercelo loro. Da qualche parte deve esserci l’imbroglio.
Ammassati nelle città, logorati generazione dopo generazione.

Gli sbaffatori  (il disgusto)

…Tirati all’indietro, ai tavoli chiedevano altro pane, tracannando, divorando
cucchiaiate di cibo brodoso, con gli occhi sporgenti, si ripulivano i baffi
bagnati. Un giovane pallido con la faccia che trasudava sugna ripulì bicchiere
coltello forchetta e cucchiaio col tovagliolo. Nuove schiere di microbi. Un uomo
con un bavaglino da neonato sporco di salsa intorno al collo spalettava zuppa
gorgogliante giù per il gargarozzo. Uno risputava nel proprio piatto: cartilagini
mezze masticate: niente denti per masticamasticacarlo. Braciola dalla griglia. Si
ingozzano per finire. Occhi tristi da alcolizzato. Ha in bocca più di quanto possa
masticare. Sono anch’io così? Ci vediamo come ci vedono gli altri. Un uomo affamato
è un uomo affamato. Denti e mascella a lavorare. Non farlo! Oh! Un osso!

Per oggi basta così.

Amoproust, 6 febbraio 2013

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