sabato 24 marzo 2012

fornero al cimitero?


La riforma del lavoro o che altro?

Ormai è stato detto tutto e il contrario di tutto. Stampa, Tv, media vari si sono scatenati nel riportare i pareri più diversi. Cosa c’è ancora da dire?
Secondo Amoproust c’è da dire che “il re è nudo”, cioè c'è da svelare la reciproca ipocrisia delle parti per cui si fa finta che si parli del “merito” del problema e invece è semplicemente un braccio di ferro tra “poteri diversi” per non lasciar prevalere la controparte.
Amoproust è ovviamente dalla parte dei lavoratori, ma vuole farlo sinceramente, appunto senza false ipocrisie e in modo corretto. Non vuole unirsi alla canea degli arrabbiati che parlano di massacro, di licenziamenti di massa e di “fornero al cimitero”. Se si parla dei soliti Ferrero, Diliberto e compagnia non ci si poteva aspettare altro, se si parla di Di Pietro, che ne dite delle elezioni alle porte? 
Cerchiamo invece di vedere il problema nel merito e di capire che cosa potrà succedere.
La riforma del lavoro, detta Fornero, ha aspetti di grande spessore e di indubbia positività, vedi la tendenza ad abolire il precariato, l’abolizione delle finte partite IVA, l’assegno di disoccupazione, il no alle dimissioni in bianco delle donne  e via dicendo. Combattere tout court la riforma è una tremenda sciocchezza, si butta il bambino con l’acqua sporca. E’ questo che vuole la sinistra barricadera nel nome del “tanto peggio tanto meglio”, così cade Monti e torniamo ai giochetti di prima, magari con tanto di cavaliere in sella? Ma questo anche la sinistra barricadera lo sa, ma siccome deve sbraitare, si attacca al solito articolo 18 per fare casino. Dico “solito” perché è così da sempre, dall’inizio del cammino si sapeva e si diceva che l’incaglio sarebbe stato quello. Ragioniamo con calma: quanto è importante questo articolo?
E’ indubbiamente importante come “simbolo”. Per i sindacati simbolo dei diritti (il posto di lavoro e la sua sacralità), per gli imprenditori simbolo delle “zeppe” che impediscono loro di avere mano libera, di fare il bello e il cattivo tempo, come gli pare.
Invece di fatto l’art.18 ha un impatto debole e modesto nella realtà delle cose. La maggior parte dei licenziamenti avvengono senza intoppi e le cause sulla “giusta causa” sono poche in confronto alla “massa critica” del problema. Non ho i numeri sotto mano ma qualsiasi giuslavorista me lo confermerebbe.  Ora che la riforma del lavoro si sia incagliata non tanto sull’art.18 quanto su un aspetto della sua applicazione, le cause per i licenziamenti individuali di tipo economico (mentre per i licenziamenti discriminatori e disciplinari tutto rimane come prima), la dice lunga. I sindacati vogliono il reintegro nel posto di lavoro (cioè sostengono il diritto proprietario a “quel” posto di lavoro), la riforma Monti (e in questo in sintonia con il mondo imprenditoriale) vogliono solo il risarcimento economico, cioè sostengono il diritto dell’azienda di licenziare,  riconoscendo solo un indennizzo. Come ben si vede è un braccio di ferro su una questione di potere e di scioglimento di vincoli.
Ma in pratica: cosa se ne fa il lavoratore del reintegro in un posto di lavoro dove non lo si vuole, che magari non c’è più, dove sarà discriminato probabilmente e soggetto a un mobbing più  o meno violento? Non è meglio per lui un indennizzo che costituisca  un ponte (oltre a iniziative di formazione e di sostegno) per approdare altrove? Certo che è meglio, anche i sindacati lo sanno, ma occorre far diga contro la pretesa padronale di avere mano libera. Altrimenti i lavoratori saranno sempre sotto ricatto. A me non sembra, ma questo è oggi l’oggetto del contendere.
Ci sono certo molti problemi da risolvere in merito a questa questione: c’è il problema degli “anziani” cioè dei lavoratori con cinquant’anni e più che non hanno possibilità di riciclarsi. C’è il problema della crisi per cui la mobilità  tra azienda e azienda è un mito, di fatto non esiste.
Concentriamoci su questi problemi. Concentriamoci sull’economia e il suo rilancio, come far ripartire il volano, come far crescere nuove aziende, attirare investimenti, creare posti di lavoro. Allora diventerà inutile parlare di licenziamenti e di art. 18, perché le aziende avranno  bisogno di assumere e non di licenziare. E non mi si dica, signor Monti e signora Fornero, che l’esistenza dell’articolo 18 è la barriera che impedisce gli investimenti in Italia. Sono ben altre le barriere (tra le prime l’abnorme burocrazia di stato e la lentezza della giustizia).  L’art. 18 è un alibi per non fare investimenti, che lo si dica chiaramente.
Insomma c’è un errore sistemico che fa dell’art.18 l’incaglio attorno al quale ci si avvita inutilmente. Prendiamone atto e tiremm innanz, ci sono cose più importanti da risolvere per rilanciare l’economia.

Amoproust, 24 marzo 2012.

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