venerdì 4 marzo 2011

federalismo in salsa padana.

E' facile "sciacqquettarsi" la bocca con il termine federalismo, come fanno ormai da anni i leghisti, è invece difficile concepire e attuare un vero federalismo. Il federalismo in salsa padana, addomesticato dalla maggioranza berlusconiana, è una barzelletta: non serve a nulla - anzi - aumenta il carico fiscale sui cittadini e non realizza se non un pasticcio di competenze e di attribuzioni.  Ragioniamo, com'è giusto fare.
Innanzitutto in Italia stiamo vivendo un processo federalista a rovescio. Di solito regioni che si federano (vedi la confederazione helvetica o più semplicemente la Germania) partono da piccole unità indipendenti che si uniscono per avere più forza e delegano parte della loro sovranità a uno stato centrale, che però garantisce loro ampie autonomie. Localismo e rispetto delle tradizioni si unisce a forza centrale e contenimento delle spinte centrifughe.
Da noi si sta avviando un processo a rovescio: da uno Stato fortemente centralizzato (così si è formato dal Risorgimento e dopo la Resistenza) si tende a dar vita a regioni e municipalità più autonome e capaci di autogoverno e autoregolamentazione. Perché questo processo si avveri è necessario che lo Stato centrale rinunci ad alcune sue prerogative e deleghi alla periferia competenze e poteri. Quali? Ed è qui il primo scoglio perché lo stato non appare tanto disponibile a rinunciare alle sue prerogative e il processo è potenzialmente pericoloso in quanto potrebbe disgregare la nazione e creare forti disuguaglianze al suo interno, tra regioni diverse.
Poi vera autonomia non si ha se non si è economicamnete indipendenti e liberi. Il Federalismo deve per forza comportare una forma di autonomia impositiva alle Regioni e ai Comuni, che dovrebbero prelevare dai cittadini ciò che è necessario alla gestione delle aree di loro competenza. Per esempio se le Regioni gestiscono in proprio la Sanità dovrebbero raccogliere sul loro territorio le risorse necessarie alla gestione sanitaria. E se il Comune gestisce le scuole materne, idem, dovrebbe raccogliere sul territorio e dai cittadini le risorse relative. Naturalmente poi esiste la Stato centrale con le sue esigenze per quanto riguarda - ad esempio - la difesa, la polizia, le grandi infrastrutture, i trasporti nazionali ecc. Idealmente si va verso tre livelli contributivi fiscali (non considero le Province che dovrebbero sparire come ente intermedio del tutto inutile) con grave rischio di aumento indebito e paradossale dell'imposizione tributaria, se non esiste una regola calmierante e equilibrante. Un cammino veramente difficile  e impervio. Una regola potrebbe essere quella che - rovesciando l'attuale sistema - i comuni (come enti più vicini ai cittadini e dotati di maggiori poteri di controllo e di verifica) incassino le imposte e le ridistribuiscano secondo parametri certi alla Regione e allo Stato. Una vera rivoluzione irta di rischi e di pericoli, oltre che di potenziali vantaggi.
Per fare ciò i Comuni devono essere entità locali di una certa valenza politica. E quindi è necessario dar vita previamente a una unificazione nei confronti della frammentazione attuale, abolendo i piccoli e piccolissimi comuni per creare entità locali di popolazione non inferiori a 5/10.000 unità. Notiamo che ciò comporterebbe un risparmio di scala ingentissimo e libererebbe  risorse per servizi sociali ai cittadini. Aboliamo poi le Province come enti intermedi nutili (le loro competenze possono essere trasferite alla regione  ai comuni, senza grossi problemi) e realizziamo un altro colossale risparmio gestionale. Ma i cittadini e la comunità politica sono disponibili a una rivoluzione del genere? Si tratta di vincere resistenze municipalistiche e debellare clientele e sacche di potere non da poco.

A questo punto (ma ci vogliono riforme coraggiose rispetto alle quali le attuali proposte della Lega e della maggironaza sembrano pigolii privi di senso) il modello è:
  • autonomia impositiva dei Comuni e delle Regioni entro un quadro globale di controllo dello Stato
  • responsabilità gestionale delle aree di competenza e obbligo alla parità di bilancio (non ci sarebbe più nessun stato centrale che può intervenire  a ripianare i debiti): motivo di responsabilizzazione della comunità politica locale che deve rispondere direttamente ai cittadini dell'uso delle risorse  - cittadini che possono controllare da vicino e mandare  a casa chi governa male e sperpera (il discorso vale soprattutto per la sanità e la scuola)
  • senato delle regioni (occorre che una camera sia dedicata al processo federalista)
  • vincolo di unità verso lo Stato centrale e interventi perequativi verso le regioni più deboli e - pur virtuose - non in grado di reggere economicamente.
Naturalmente bisognerà anche decidere quali attribuzioni e competenze rimarranno allo Stato, per evitare frammentazioni e disuguglianze  abissali. Per esempio la scuola pubblica dovrebbe rimanere "statale", concedendo alle Regioni solo interventi periferici e marginali (per esempio l'istruzione professionale, che ha forti ricadute territoriali). Se si permettesse una scuola regionale, immaginate lo scempio che potrebbe avvenire: siamo in Europa e l'istruzione deve confrontarsi a livello europeo.

Così si attua un federalismo solidale che responsabilizza la periferia e rafforza i poteri di controllo e di  supervisione  dello stato centrale, respingendo le spinte centrifughe e salvaguardando le autonomie anche culturali delle municipalità.

Gridare alla vittoria del federalismo perché si è introdotta una IMU al posto di una ICI e si è dato ai comuni il potere di imporre l'imposta di soggiorno e l'addizionale Irpef, con buona pace dei leghisti, fa letteralmente scompisciare dalle risate. La montagna che ha partorito il topolino.

amoproust - 4 marzo 2011

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