venerdì 13 novembre 2015

Che dire?



Quando non si sa che dire

Ci sono momenti nella vita politica della città e della nazione in cui non si sa che dire, è meglio tacere. Brutta cosa il tacere di fronte agli scandali, alle defezioni, ai trasformismi. 
Ma di fatto il cosiddetto popolo sovrano, il corpo dei cittadini che, come dice giustamente Maggiani, compongono la nazione, è espropriato del suo potere, non può nulla. Non solo ma l’unico strumento che possiede, il voto, gli viene sottratto per lungo periodo o, in modo truffaldino, con leggi elettorali che prevedono solo o quasi solo nominati, cioè candidati indicati dai poteri dei partiti, delle varie consorterie, che poi di fatto sono clientele  e mafie. 
Non spaventi questa parola. Mafia non è solo coppola  e lupara ma è tutto ciò che si sostituisce alla natura dello stato, lo occupa e lo violenta.

Non si sa cosa dire anche perché le cose da citare sono tante e scandalose: un premier legittimo per modo di dire (non mi si dica che il modo con cui Renzi ha conquistato palazzo Chigi sia dei più limpidi) che si occupa di riforme come avrebbe fatto il suo antagonista Berlusconi, bistratta i sindacati (fatto di per sé eversivo per un governo di sinistra), annuncia ogni giorno una nuova impresa fino a ripescare il progetto (ormai marcio e decotto) del ponte di Messina.

Intanto intorno a lui il partito si sta disfacendo, in parte perché in mano a potentati locali che non intendono cedere il potere, in parte perché composto da puri yes men traslocati in direzione o perché in parte dissidente. C’è chi ha deciso di andarsene per fondare l’ennesima formazione di sinistra (quale programma possa venir fuori da questa ammucchiata di ex Sel e ex dem non si sa) – formazione che si presenta fin dall’inizio potenzialmente litigiosa. 
C’è invece chi (Bersani in testa) afferma che il dissenso deve essere interno  e giocato nel futuro congresso del partito (in quale data e ci sarà?) Sta di fatto che in periferia succede di tutto. A Roma Barca giudica il partito nei suoi circoli una sentina di nefandezze (ma chi gli dà retta?), a Napoli  la vicenda De Luca illumina sinistramente solo manovre di potere e di poltrone. 
Cosa succeda altrove non si sa, ma se mi fermo alla mia esperienza locale vedo solo vecchi militanti smarriti e disorientati (e nostalgie del vecchio PCI) e una totale assenza di giovani che pensano a tutto tranne che ad associarsi al PD. Grillo (non lui ma il suo movimento) attrae molto di più perché propone piazza pulita, via tutto il vecchio e il marcio e si comincia daccapo. Come si faccia a farlo non si sa.

Sta di fatto che a Napoli, Roma e altrove il PD si giocherà regione Campania e sindaci come si è giocato stupidamente Venezia e la Liguria. A Milano corre rischi e a livello nazionale i sondaggi lo dicono seriamente minacciato dal M5stelle.

Se nelle amministrative di primavera Renzi risulterà perdente, dovrà dimettersi e si andrà al voto nazionale.  Ne vedremo delle belle.

Tocca al demiurgo nazionale, all’annunciatore di mille riforme e cambiamenti, cambiare veramente verso. Ascoltare i cittadini, gli insegnanti esclusi, i pensionati trombati mille volte, gli esodati, le vittime del lavoro precario che c’è ancora. Ascoltare e fare non i ponti di Messina o le faraoniche olimpiadi di Roma (ma siamo matti dopo il Giubileo?). dire finalmente “qualcosa di sinistra”. Finora sentiamo solo copie degli annunci berlusconiani.

Non si sembra il massimo per un governo che si proclama di centro sinistra.

Amoproust, 13 novembre 2015.

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