domenica 15 novembre 2015

Giubileo?



Giubileo sotto la minaccia del terrore?


Dopo ciò che è successo a Parigi e la certezza che l’Isis intende portare la sua guerra nel cuore dell’Europa e della Cristianità, è lecito chiedersi cosa fare  e come reagire. Parlo come cittadini. Lasciamo il compito strategico della guerra nelle zone calde di Siria, Iraq, Turchia e Libia ai competenti, alla Nato, alle forze militari. Che, nonostante noi odiamo la guerra, dovranno agire, intervenire. È in gioco la pace universale, è il diritto dei popoli alla difesa. E, sul piano strategico la prima reazione deve essere del mondo musulmano stesso, se vuol salvare la sua civiltà, la sua sopravvivenza nel mondo.


Detto questo cosa fare in Europa? Un grande lavoro di intelligence per scoprire e annientare le cellule del terrore, le centrali dell’eversione e di tutti coloro che le fiancheggiamo. Senza confondere i giusti diritti dei profughi e dei poveracci che fuggono dalle zone di guerra e chiedono asilo. Purtroppo sappiamo che i simpatizzanti e gli esaltati sono spesso nelle file degli integrati, di coloro che hanno cittadinanze europee. Ma l’intelligence che non ha intelligenza e capacità di discriminazione che intelligence è?


E i cittadini? I cittadini devono poter continuare la loro vita di lavoro e di impegno culturale come prima, senza alcuna limitazione. Devono poter andare  a teatro, al cinema, al ristorante, nelle università, nelle scuole, negli stadi, nei centri di divertimento. In sicurezza. Una situazione di terrore porterebbe a una specie di coprifuoco, di allarme continuo, il che non deve avvenire né a Parigi né a Londra né a Roma né a Milano.


Diverso mi sembra il discorso del Giubileo. È un evento destinato ad attrarre centinaia di pellegrini, a creare affollamenti, concentrazioni, moltiplicando il lavoro di security e di allerta. È il caso di portare avanti questo progetto? Io, e con me illustri uomini di Chiesa, dico di no. Vuol dire creare l’occasione, offrire un bersaglio, lanciare una sfida. Tanto più che la misericordia e il perdono il Papa li può dare e gestire in tutte le chiese del mondo, non solo a Roma. Anzi sarebbe l‘occasione per affermare l’universalità della Chiesa e non solo la centralità di Roma. Anche perché, in questo momento, la città è in crisi, non è preparata, non ha un governo, ha servizi precari, uomini inaffidabili al comando.


Quindi il Papa e le autorità in Roma ci pensino. Non  vorremmo piangere, in quest’anno della misericordia vittime innocenti e morti anziché rinati nella grazia di Dio. Può succedere, è probabile che succeda. Evitiamolo.


Amoproust, 15 novembre 2015


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