Non
ammazziamo Renzi
Lo
sport preferito della sinistra tradizionale, quello di farsi del male, ha avuto un incremento fortissimo di fans con l’avvento
del Governo Renzi.
Critiche,
minacce di secessione, sottili distinguo, preannunci di sfaceli prossimi e
futuri. E’ una storia già vista.
Del
modo poco corretto e un po’ prepotente con cui Renzi è andato sulla poltrona di
Palazzo Chigi, già si è detto e non ci ripetiamo. Ma ora che è lì ben
insediato, è compito preciso della parte che lo ha portato lì, lo ha voluto lì
(vedi primarie, vedi segreteria, vedi voti in Direzione) di sostenerlo compatti
e uniti. Sostenere non vuol dire non criticare, non vedere gli errori,
consigliare al meglio: sostenere vuol dire, in questo caso, rendersi conto che,
se fallisce questo tentativo, fallisce l’ultima possibilità del paese di uscire
dalla “palude”.
La
sinistra che oggi guarda con sussiego, dall’alto, il tentativo di Renzi, è la
sinistra che ha fallito almeno gli ultimi vent’anni di vita del paese: non ha
saputo efficacemente contrastare Berlusconi, non ha mai fatto, quand’era al
Governo, leggi adeguate a contenerne il potere mediatico, ha boicottato, con le
sue divisioni e litigi e massimalismi, l’unico serio tentativo di buon governo (Prodi),
ha saputo perdere elezioni sbagliando la campagna elettorale quando tutti i
sondaggi la davano vincente, ha divorato il suo buon segretario (Bersani), ha
compiuto il lavoro di autodistruzione con l’assassinio nella Cattedrale (il trombamento
di Prodi al Quirinale: un capolavoro!), è andata lietamente incontro alle
larghe intese dopo aver detto che non le avrebbe fatte mai più. Questa vecchia bolsa sinistra non ha il
diritto, oggi, di dire che Renzi è di destra, che è un presuntuoso, che il suo
tentativo fallirà. La sinistra, con questa storia pazzesca alle spalle, ha il compito-dovere di sostenere Renzi, di
collaborare al successo della sua iniziativa.
Renzi
propone (non entro nei dettagli) due grosse battaglie: una contro la
disoccupazione, soprattutto giovanile, l’altra contro la burocrazia. Battaglie
che si incrociano e che ne richiedono altre, collaterali, ma non meno
importanti.
La
disoccupazione. Un Governo non è in grado di creare posti di lavoro, ma è in grado
di creare le premesse per il rilancio dell’economia e degli investimenti: meno
costi, meno burocrazia, incentivi per attirare gli investimenti dall’estero, sanzioni
per chi non investe , ma colloca i capitali all’estero. E il Governo è in grado
di tutelare chi rimane senza lavoro (senza alcuna sua colpa). Il lavoro è un
diritto, ma anche un dovere, cui nessuno si può sottrarre. E qui entra in gioco
l’imprenditoria italiana che non ha, negli ultimi tempi, dato buona prova di
sé: chiusure ingiustificate, delocalizzazioni all’estero, mancanza di coraggio
imprenditoriale (intraprendere è un rischio, non è un buon imprenditore chi non
vuole alcun rischio), esportazione di
capitali, investimenti in finanza anziché nel creare lavoro. Un capitalismo bieco
e assai poco incline all’uso sociale della proprietà privata. Questa
imprenditoria va messa alla frusta e non vale dire “la roba è mia” perché
quando è in gioco la collettività, non esiste “mio” che tenga.
Seconda
battaglia: la burocrazia, la piovra che divora lo Stato con la sua inutilità,
inefficienza, lungaggini e ricatti. Tra i potenziali leader che si sono affacciati
sulla scena politica Renzi è l’unico ad aver individuato nei lacci della
burocrazia un vero nemico “interno” da battere. Guardate che è una lotta
impari, difficilissima. I Governi e i Ministri passano, ma la dirigenza nei
Ministeri e nelle grandi “partecipate” pubbliche rimane. La burocrazia crea
spazi parassitari dove si annidano gli sprechi, crea e sostiene privilegi atavici,
resiste al cambiamento, difende assurde prassi che giustificano lentezze e
posti inutili. Troncare le sue spire e mettere in riga questa piovra è essenziale
per la riforma dello Stato. La burocrazia è in grado di impedire che le leggi
vengano attuate, che risorse non vengano utilizzate, è in grado di sostenere
gli amici degli amici. Corruzione e sprechi qui si annidano. 800 miliardi di
spesa è il costo della macchina dello Stato e annessi: ridurne il costo a 700
(poco più del 10%) salverebbe già il paese, creerebbe risorse per riforme importanti
e la diminuzione del debito.
Agire
su questi piani significa fare, il “fare” propugnato da Renzi. Ci riuscirà?
Vedremo. Intanto non impediamogli di lavorare, non continuiamo a criticare la
sua squadra, dicendo che la Guidi è un’infiltrata di Berlusconi (a fare che?),
che la Boschi è la bella madonnina di Renzi, che era meglio la Bonino della
Mogherini ecc.ecc. Non esiste un’opera perfetta. Era perfetto il governo Letta?
Ma andiamo!
Io,
personalmente, come molti altri, avrei preferito una buona legge
elettorale e poi il pronunciamento degli
elettori. E’ sembrata una strada impossibile e rischiosa. Beh, allora, teniamoci
Renzi. Il suo è un governo quasi personale, si è assunto tutta la responsabilità
personale di un eventuale fallimento.
Questo o è irresponsabilità o è coraggio. Di fronte alla storia è temerarietà.
Ma i temerari spesso hanno compiuto grandi imprese.
Amoproust, 1 marzo 2014
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