domenica 26 agosto 2012


A Ferragosto c’è materia per pensare… anche


Sono finite le Olimpiadi. Tutti incollati a vedere, alla tele, cose che, normalmente  nessuno caga (scusate l’espressione volgare): il tiro con l’arco, il fioretto, la ginnastica artistica, il nuoto sincronizzato, la mountain bike, i tuffi  ecc.ecc.  Uno spettacolo. Ma che significato ha? Lasciamo perdere le parolone enfatiche del caso: la festa della gioventù nello sport, il mondo che si ritrova in pace, la fratellanza e bla bla.

Io mi domando controcorrente che significato abbia sacrificare un’intera vita giovanile per un primato, una medaglia. Noi vediamo uno spettacolo che dura pochi secondi, ma quei giovani che sono arrivati lì, alle Olimpiadi, hanno dovuto sottomettersi a fatiche incredibili, a allenamenti estenuanti, a diete e regimi durissimi, hanno praticamente dedicato la loro vita intera a quella disciplina, a quello sport. E bene chi ha vinto una medaglia, ma tutti quegli altri che abbiamo visto arrancare dietro ai primi, senza alcuna speranza di un podio, di un  ricordo? E il raggiungimento di limiti estremi di perfezionismo e di bravura porta a moltiplicare gli sforzi e i durissimi allenamenti fino allo sfinimento. Per quale obiettivo?

Io credo che occorra introdurre una riflessione in merito e una pausa. Questo non è più sport, è una gara un po’ insensata al primato, una sfida ai limiti umani. E se pensiamo che tutto l’ambaradan, tutto il carrozzone olimpionico è sostenuto da interessi commerciali, ormai palesi, gli sponsor, i fabbricanti di attrezzature e vestiario sportivo, le varie Nike, Adidas, Triumph… Insomma è difficile pensare alle Olimpiadi come  a un evento solamente sportivo. Lo sarebbe se a competere fossero veramente solo dilettanti, che gareggiano in quanto cultori della materia, di quello sport. Ma ciò è impossibile e quindi… Infine la nazione ospitante si svena e spesso (Atene, Torino e Pechino sono lì a dimostrarlo)  tutte le magnifiche strutture create per le gare olimpiche marciscono nel degrado in quanto nessuno più le utilizza. Domanda moralistica ma reale: in un mondo dove si muore ancora di fame tutto ciò ha un senso?


Il primo ministro spagnolo ha affermato, pochi giorni fa, di fronte agli attacchi speculativi che maltrattano il suo paese: “la Spagna non è l’Uganda”. A parte che se fossi un  ugandese gli risponderei “vada a scopare il mare” e “lavi i suoi panni sporchi in casa sua”, beh, caro signor Ministro, l’Uganda ha vinto la maratona e bene. La Spagna cosa ha vinto alle Olimpiadi?


La vicenda tarantina è una di quelle storture all’italiana dove cercare i responsabili e i rimedi è fattore arduo e difficile. Come conciliare una produzione  altamente inquinante e pericolosa con la salute (ma se ne accorgono solo ora?) con gli interessi dei lavoratori, l’occupazione e la tutela della salute stessa, beh, è quasi la quadratura del cerchio.

C’è chi spara facili giudizi e impicca virtualmente colpevoli. Una cosa sola è certa: sarà un altro costo che graverà sulla collettività e c’è da sperare che non si ripeta più.

I primi responsabili, inutile nasconderlo, sono i proprietari, i “padroni” che, per massimizzare i loro profitti, hanno minimizzato i rischi e nascosto i problemi. E poi viene la casta. E poi tutti noi cittadini che, consapevoli di questi rischi, non vigiliamo a sufficienza, accettiamo senza discutere, taciamo. Quanti crimini si sono commessi in nome della occupazione e industrializzazione, soprattutto on certi anni della nostra storia! I nodi vengono sempre al pettine e le incurie si pagano.

Amoproust, 20 agosto 2012

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