Unioni civili
Chiamarle così sembra un insulto alle altre unioni che, per
contrapposizione, dovrebbero essere “incivili”. Oppure, smettendo di celiare,
civile significherebbe “unioni laiche” mentre le altre unioni, come per esempio il
matrimonio eterosessuale sancito dal diritto sia canonico che non, sarebbero “sacre”.
Distinzioni barocche, che non temerei di chiamare incivili perché non degne di
un paese di diritto.
Infatti ogni forma di unione finalizzata alla convivenza e
al reciproco sostegno è in qualche modo rispettabile e sacra, perché riflette
la volontà di individui, sia che siano maschi o femmine, un maschio e una femmina,
due maschi, due femmine e così via. Mettere distinzioni per cui un’unione vale
più di un’altra è, questo sì, incivile. Significa in qualche modo sancire una
differenza per cui gli eterosessuali sposati sono di più (più sacri, più degni,
più civili) degli omosessuali uniti (non si vuole stupidamente in questo caso parlare di
matrimonio). È una grave violazione del principio di uguaglianza di tutti i
cittadini, comunque la mettiamo.
Ci sono anche altre unioni (convivenze) che sono degne di
rispetto e dovrebbero avere diritti. Come per esempio la convivenza di un padre
o di una madre con un figlio, oppure la convivenza di due fratelli o sorelle.
Il riconoscimento di diritti significherebbe un privilegio nell’asse ereditario e soprattutto il diritto alla
pensione di reversibilità che permetterebbe
all’unico che sopravvive di campare. Ma per ora non formuliamo ipotesi
avanzate ché la nostra cultura e il nostro diritto sono fermi ancora al riconoscimento dei
diritti delle coppie.
Sappiamo che in questa materia è la Chiesa e sono i cattolici che
ritardano tutto. L’Italia è infatti l’unico paese europeo su 28 a non avere
ancora una legge sulle unioni “civili”, anche blanda, anche limitata a un
semplice riconoscimento delle unioni eterosessuali fuori dal matrimonio. Il
perché è oscuro, è solo tradizione, è solo conservazione pura.
Infatti, per
quanto ne dica il Papa - mi dispiace perché ammiro molto Francesco - non c’è un
comandamento divino, una affermazione evangelica che sancisca come unica unione
possibile quella eterosessuale. Il tema sessuale è praticamente inesistente nel
Vangelo. Si parla di adulterio, ma Gesù perdona l’adultera e la lascia libera. C’è l’affermazione citatissima
di “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito” che sembra (dal contesto evangelico di Marco)
una difesa della donna dal ripudio, più che una difesa tout court del matrimonio
eterosessuale. Infatti era diffuso il costume del ripudio, che era un divorzio
vero e proprio, anche se mascherato da ragioni ereditarie.
Il contesto
culturale in cui agiva Gesù non permetteva certo di parlare di unioni
omosessuali e infatti Gesù non lo fa, l’avrebbero lapidato. E Gesù è fedele al
suo proponimento di osservare la legge giudaica. Ma questo non significa
affatto che ci sia una proibizione “divina” di unioni sessuali diverse.
Ma il Papa sa bene che la cultura si evolve e si evolverà
sempre e che la Chiesa deve tenerne conto. Come, se vuole sopravvivere, la Chiesa
cattolica dovrà fare i conti con la negazione del sacerdozio agli uomini
sposati e alle donne. Non ci sono ragioni per sostenere oggi questa clausola
del diritto canonico risalente al Concilio di Trento. Qui non c’è dogma di
Fede, qui non c’è legislazione divina. C’è solo pervicace volontà del
legislatore cattolico, maschilista e misogino. Ma alla fine la Chiesa dietro il
collasso di vocazioni, si piegherà e riconoscerà ciò che esige essere riconosciuto.
Ma è stupefacente questo ritardo costante della Chiesa, questo “remare contro”
la cultura moderna, che, nonostante tutti gli sforzi, la fa apparire reazionaria e arroccata al
vecchio. Mentre, in campo umanitario e sociale, è all’avanguardia. Una contraddizione
che va risolta, che non può continuare ad esistere.
Non ha senso poi, oggi, dopo il crollo del collateralismo
politico, che ci siano forze in Parlamento che si parano dietro i dettami
clericali. Lo Stato è laico, la Costituzione è il suo riferimento primo, non
esiste altra guida.
Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
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Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
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È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.
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