martedì 19 gennaio 2016

Il ricatto del fiorentino



Referendum istituzionale

E’ il dibattito del giorno. Renzi annuncia (e minaccia) che, se dovesse vincere il no, lui lascerà la politica. Fatto che non mi impressiona né mi  amareggia più di tanto. 
E credo con me tanti democratici veri, per niente convinti dagli annunci e dai (mis)fatti del fiorentino. Mi verrebbe da dire: un pallone gonfiato in meno, siamo buoni, un cattivo politico in meno. 
A me dispiace quando se ne va un buon politico. Ho pianto quando è caduto il governo Prodi per mano maramalda, mi dispiace che non si riproponga Pisapia alla guida di Milano. Ma non riesco a dispiacermi  se se ne va Renzi. La congiuntura nazionale  e internazionale forse potrebbe averne un contraccolpo negativo. Potrebbe non essere il momento giusto. Ma il fatto di trasformare un referendum sul Senato della repubblica e la sua riforma in un plebiscito  a favore o no di se stesso, è un atto di estrema debolezza. Il vero politico dice: “Ho fatto una proposta, il Parlamento l’ha accettata, vediamo cosa dicono i cittadini”. E si rimette alla volontà del popolo. Non lo ricatta, non gli pone condizioni. Può dire: “sono stato sconfitto, mi ritiro” ma non con quell’aria da apocalisse. Perché senza Renzi possiamo vivere benissimo, magari meglio, con una politica più trasparente e riforme vere.

Il vero tema del referendum di ottobre (a proposito mai campagna elettorale per un referendum è iniziata a tale distanza temporale) è la Riforma del Senato. Che, diciamocelo, piace a ben pochi. Gli addetti ai lavori, costituzionalisti, studiosi di diritto, giornalisti democratici in coro si sono pronunciati contro. Finora non mi è capitato di leggere serie argomentazioni a favore. Perché è una riforma indifendibile, un pateracchio indigeribile.

Ma la conosciamo bene? Vediamo di ripercorrere le sue linee guida generali. Che in definitiva, in sintesi sono molto poche.
·      Il  numero dei senatori si riduce drasticamente: da 315 a 100. Di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 nominati da Presidente della Repubblica.
·      Il Senato non esaminerà più le leggi che saranno discusse e approvate solo dalla Camera. E’ la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto.
·      Il Senato parteciperà all’elezione del Presidente della Repubblica (che avrà nuove regole)
·      Compiti del nuovo Senato (ancora da definire): politiche comunitarie, enti locali, genericamente Europa. Elezione dei giudici costituzionali.
·      I Senatori saranno eletti non dai cittadini ma dai Consigli regionali. In che modo ancora non si sa.

La fine del bicameralismo è il vero piatto forte della riforma. Ma questo si poteva realizzare senza dar vita a un Senato burletta che non è eletto dai cittadini, ha compiti del tutto secondari e puramente di controllo ed è formato da personaggi di secondo/terzo piano. E il bicameralismo è un male così perfido? No se è bilanciato da compiti diversi delle due camere. Invece con la riforma abbiamo una sola Camera eletta dai cittadini (si fa per dire perché la maggioranza saranno nominati). Potevamo prendere esempio da altri stati europei di lunga democrazia. Ma no, noi mai! Riforme in salsa italica.

Il tutto viene giustificato con risparmio di risorse pubbliche, perché i senatori non verranno retribuiti. Il che significa solo che faranno il loro lavoro con malavoglia e come “secondo lavoro”. Una forte perdita di credibilità.

Il fatto più grave è tuttavia un altro: il rafforzamento del potere esecutivo. Infatti con una Camera di quasi tutti nominati e un Senato non eletto direttamente dai cittadini, il Parlamento si sgonfia (il potere legislativo) e l’esecutivo si rafforza. Renzi evidentemente ha pensato solo a se stesso, forse si crede immortale. Se avesse pensato al Paese avrebbe giustamente riflettuto che al potere domani ci potrebbe essere la destra o i 5 stelle. E allora cucù, il pateracchio è compiuto.

La riforma vera del Senato avrebbe dovuto prevedere l’elezione diretta da parte dei  cittadini magari su una lista di maiores, di seniores, di illustri cittadini, liberi da macchie etiche e illustri per opere politiche, scientifiche, agire sociale. Renzi e i suoi consiglieri hanno preferito  i consiglieri regionali e i sindaci (quali, poi?): categoria (mi perdoni chi non c’entra) la più squalificata politicamente, quella che ha originato più scandali e altri peccatucci. Perché questa scelta? Mistero. 
Il Senato, dai tempi di Roma, le camere alte nei tempi moderni hanno sempre rappresentato la saggezza, l’anzianità di ruolo, l’integrità. Noi no: rappresentiamo con questo senato la cortigianeria. Il risparmio è un alibi perché anche i consiglieri regionali senatori avranno bisogno di una sede, di segreterie, di rimborsi spese.  Quale risparmio? Spiccioli, bricioline di fronte all’ingente spesa dello Stato per il mantenimento delle Istituzioni.

E infine la funzione. E’ paradossale che si riformi la Camera alta senza ben sapere che funzioni avrà se non per cenni, per titoli. Il Senato dovrebbe avere compiti alti, di controllo e di verifica, di proposizione di progetti democratici. Ma ridotto  a una miniassemblea di consiglieri regionali, demotivati e privi di potere, sarà una barzelletta. Ha detto qualcuno (Scalfari) che era meglio farne  a meno. D’accordo.

E’ chiaro, che, stando così le cose voterò “no” al referendum di ottobre. E sarò in ottima compagnia: mi bastano i nomi di Rodotà, Zagrebelsky, Scalfari, Mauro. 
Non temo le conseguenze se  dovesse vincere il “no”. Temo invece il successo di una riforma disastrosa per le Istituzioni repubblicane, eletta magari da un paese assenteista e con un sì rappresentativo del 30% dei cittadini.

Amoproust, 20 gennaio 2016


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