ANNUNCI E TROVATE A SORPRESA
I toni sono sempre
drammaticamente alti. Nella politica italiana dell’oggi non si dialoga né discute,
preferibilmente si urla. Ma con gli schiamazzi i problemi non si risolvono.
Il premier Matteo Renzi
non rinuncia alla sua specializzazione: l’annuncio eclatante, forte, se non vogliamo
dire “populista” diciamo pure di grande presa sulle masse. Questa volta tocca
alla promessa di abolire la TASI, la tassa sui servizi indivisibili, per
brevità ridotta a tassa sulla casa.
Tassa sulla casa era l’ICI, poi l’IMU rimasta per le seconde terze case,
non la TASI. Stupisce che il premier con i suoi annunci favorisca l’ignoranza,
la semplificazione. Con la TASI i cittadini pagano l’illuminazione pubblica, la
manutenzione delle strade e quant’altro i comuni devono fare per la qualità
della vita dei cittadini. Abolire la TASI significa ancora una volta affamare i
comuni, impedire loro di fare il loro mestiere. Ma di questo Renzi se ne fa un
baffo.
Non solo, ma come si è
detto e gridato a gran voce dall’opposizione soprattutto interna nel PD,
abolire tout court ogni tassazione per i servizi basata sul possesso di una
casa significa trattare da uguali chi è disuguale. Le situazioni sono
molteplici: c’è chi ha una casa grande in centro ereditata e magari un reddito
piccolo, chi ha una villa e chi un monolocale… La casa è una scelta individuale
o familiare. C’è chi ha preferito investire in una casa grande e chi invece
preferisce il piccolo ma centrale ecc.ecc.
Dire: nessuno paga più niente è come
fare un regalo ai ricchi, inaspettato e lasciare i poveri con un pugno di mosche
in mano. Non sarebbe meglio, se le tasse devono essere ridotte (e in questo
tutti sono d’accordo) rivedere le aliquote per i redditi più bassi? Così si
rilanciano i consumi e riparte l’economia, sembra.
Seconda questione: esplode
il problema del Senato. Forse bisognava pensarci un po’ prima e non in seconda lettura che tutto si fa più
complicato. Ma un Senato di nominati (come si prevede sia un Senato di consiglieri
regionali) accanto a una Camera per lo più di nominati riduce la sovranità
popolare a una barzelletta. E poi io
sarò vecchio ma un Senato ridotto a niente, a poco più di una commissione consultiva,
mi sembra uno sfregio costituzionale intollerabile. Infatti i Padri Costituenti
vedevano nel Senato la Camera alta, quella dei seniores e se invece diventa la
camera dei nominati tanto per dire, meglio abolirlo o chiamarlo diversamente,
Camera delle autonomie, p.e. Ma che debba essere eletta dai cittadini questa
Camera non ci piove, altrimenti c’è uno sfregio alla sovranità popolare non da
poco.
A Matteo – ormai è palese –
piace l’autoritarismo, piacciono le decisioni secche prese dall’alto, da chi
comanda, lui, in questo caso. Ed è molto pericoloso, questo modo di porsi e di
pensare, per la democrazia. Purtroppo la democrazia ha tempi lunghi, prevede
passaggi plurimi. Possiamo vedere di accorciare i tempi ma la delega totale a
un “uomo solo” non è mai democrazia.
E’ vero. Di riforma del Senato si parla,
come dice Renzi, da molti anni. Ma se ci siamo decisi a farla superando il bicameralismo
perfetto, facciamola bene. Io non so chi abbia inventato questo meccanismo
balordo dei senatori scelti tra i consiglieri regionali, è veramente un
pateracchio, un insulto al buon senso. Se si voleva evitare una seconda scheda
in sede di elezioni politiche (e perché mai?), non era il caso di pensare a un’assemblea
di macchiette, reperendo eletti nei consigli più inaffidabili che ci siano.
Comunque un fatto è certo: i senatori devono essere eletti dai cittadini. Poi
possiamo non pagarli, pensare solo a un rimborso spese, abolire la complessa
macchina dei dipendenti di palazzo Madama (attenzione! Aspettiamoci una bella
giusta protesta!).
Un Senato di nominati no. E se Matteo vorrà a tutti i costi
far votare questa ignobile riforma, passerà alla storia come il “dittatorello”
fiorentino. Non passerà molto tempo ma la sua riforma come altre sue riforme
saranno riviste, riformate. A meno che il fiorentino non sia l’apripista di un
governo eternamente centrista, eternamente con un piede di qua e uno di là.
Amoproust,
20 settembre 2015
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